Pietro Mennea: sì ai Giochi, no al gigantismo
Pietro Mennea è una delle leggende dell’atletica leggera. Cinque Olimpiadi, 15 ori, 3 argenti e 6 bronzi. Dopo aver collezionato record, ha lasciato lo sport agonistico nel 1988 (Giochi di Seoul). Oggi è avvocato e commercialista, revisore contabile, agente di calciatori, giornalista pubblicista, insegnante universitario. Dal 1999 al 2004 è stato deputato al Parlamento Europeo. Nel 2006 ha dato vita alla Fondazione Pietro Mennea, a favore di enti caritatevoli o di ricerca medico-scientifica, associazioni culturali e sportive. Lo scopo secondario è di carattere culturale, e consiste nel diffondere lo sport ed i suoi valori, nonché promuovere la lotta al doping, che è diventata una triste piaga per lo sport e la nostra società. Ha cinque lauree (Isef, scienze motorie, giurisprudenza, scienze politiche, lettere) e ha scritto 20 libri, dedicati al diritto sportivo, alla questione del doping e ai Giochi Olimpici. Alla vigilia di quelli di Londra, il suo penultimo libro, dal titolo “I costi delle Olimpiadi” (Delta Tre edizioni), offre interessanti spunti di riflessione: “Le esperienze precedenti insegnano che due settimane di gare lasciano ad una città pochi vantaggi, molti quartieri trasformati, stadi enormi e ingestibili dalle amministrazioni comunali, costi di manutenzione proibitivi, altre opere edili sovradimensionate e ben pochi utili”.
D) Dottor Mennea, i Giochi di Londra si avvicinano. Lei all’inizio dell’anno scorso ha preso pubblicamente posizione sul tema Olimpiadi, dicendosi contrario alla candidatura romana. Ci può spiegare le sue ragioni?
R) In tutta la storia delle Olimpiadi, l’economia di nessun Paese è mai ripartita grazie ai Giochi, ma i cittadini si sono dovuti sobbarcare costi e oneri. Eccetto una o due eccezioni, in seguito a questo evento si sono sempre verificate recessione economica e svalutazione della moneta. La città di Torino, che ha organizzato i Giochi invernali nel 2006, è una delle città più indebitate d’Italia. Sono anche contro il gigantismo delle Olimpiadi: impianti enormi che poi vengono abbandonati. Non sono a sfavore alle Olimpiadi in sé, visto che ho partecipato a cinque edizioni, ma sono contrario all’organizzazione dei Giochi in paesi che hanno problemi economici.
D) Qual è, nella sua esperienza, l’impatto ambientale di questi eventi?
R) Parto dal caso di Roma: nella capitale la costruzione del villaggio olimpico a Tor di Quinto avrebbe sconvolto il paesaggio naturale della zona Flaminia. In generale, l’impatto ambientale è legato soprattutto agli impianti: il Paese organizzatore costruisce una serie di impianti sportivi che poi non servono più a nulla e sono solo un costo per i cittadini. Costruzioni che fanno sempre la stessa fine: magnificate per quindici giorni dalla stampa e poi abbandonati al degrado. La formula delle Olimpiadi oggi è: “Interessi privati con denaro pubblico”. Bisogna chiedersi se vale ancora la pena organizzare le Olimpiadi così, vista la situazione economica mondiale.
D) C’è una soluzione? Spezzettare le Olimpiadi in gare disputate in vari Paesi, in base alla disponibilità di impianti già esistenti, potrebbe essere fattibile?
R) Potrebbe essere una via. In Grecia per esempio gli impianti c’erano già: se il CIO avesse voluto aiutare il Paese, avrebbe potuto assegnarle i prossimi Giochi. In quel caso l’evento avrebbe potuto dare un po’ di sollievo economico. Un altro aspetto da considerare per Olimpiadi a minore impatto è anche il numero degli atleti, che oggi sono tantissimi: meglio un evento più contenuto, con meno discipline e meno partecipanti.
D) Oltre a fare l’avvocato di professione, lei è stato deputato europeo dal 1999 al 2004, lavorando proprio in Commissione Ambiente. Qual è la sua esperienza rispetto all’applicazione del diritto ambientale?
R) In Europa c’è più attenzione verso queste tematiche rispetto all’Italia. In Commissione Ambiente abbiamo lavorato moltissimo, affrontando tanti temi. Ricordo il caso di un sito archeologico greco che volevano riempire d’acqua per gare di canottaggio. In Commissione noi ci opponemmo fermamente, ma si faceva fatica a tamponare, a bloccare certi tentativi di deturpazione del paesaggio: in Parlamento c’erano anche persone che erano lì per difendere interessi privati.
D) E in Italia qual è secondo lei la situazione? Si discute molto sul fatto che gran parte dei reati ambientali sono semplici contravvenzioni, dunque “classificati” come più lievi rispetto ai delitti.
R) Sì, c’è questo problema. Penso che la difesa dello straordinario patrimonio italiano passi anche attraverso la difesa dell’ambiente, che deve essere una priorità. Chi non pensa questo non fa un buon servizio al Paese. Se fossi al governo, la prima cosa che farei sarebbe distruggere tutte le costruzioni abusive. Da questo punto di vista, l’Italia deve diventare più severa: servono norme più rigide, anche per educare la popolazione.
Veronica Ulivieri