Nuovi target UE sull’efficienza energetica. La crisi ucraina come stimolo per ridurre la dipendenza
Torna alla ribalta il “Pacchetto clima-energia per il 2030”, che sembra essere diventato la bussola della Commissione Europea in materia ambientale. Questa volta l’Esecutivo di Bruxelles si è concentrato, non senza polemiche, sull’efficienza energetica, proponendo un target del 30% da raggiungere entro il 2030. “L’obiettivo è proporzionato ma anche ambizioso, e ha buone possibilità di essere adottato dal Consiglio UE”, aveva detto il Commissario Europeo all’Energia, Guenther Oettinger, al momento della presentazione di quella che è la terza proposta della Commissione, a completamento del Pacchetto clima-energia per il 2030, dopo il target del 40% di riduzione di CO2 e del 27% di consumo di energia da fonte rinnovabile. Ultimo pilastro di una strategia in cui nessun tassello è indipendente dall’altro o scollegato dalla più ampia politica ambientale UE. La prossima Commissione dovrà, infatti, provvedere alla riforma della Direttiva sulla performance degli edifici e nel 2017 procedere ad una revisione per vedere, in termini di efficienza energetica, quali ulteriori iniziative legislative sono necessarie.
Per il Commissario Oettinger questo è comunque un grande traguardo: “Il 40% di riduzione della CO2 può essere raggiunto con una maggiore efficienza energetica del 25%, ma noi vogliamo di più: alla luce della sicurezza energetica e della crisi ucraina, riteniamo sia giustificato un obiettivo ambizioso“, e ha aggiunto: “Penso che l’Europa debba rimanere leader nel campo dell’efficienza energetica e nei prossimi anni potrà ridurre l’import di energia“. Parole ancora più esplicite sulla riduzione della dipendenza energetica europea arrivano dalla Commissaria UE al Clima, Connie Hedegaard, convinta che questo passo costituisca “una notizia naturalmente molto buona per il clima e anche una buona notizia per gli investitori e per la sicurezza energetica e l’indipendenza dell’Europa. Non si può dire sia una buona notizia per Putin”.
Tuttavia, saranno gli Stati membri a decidere se rendere l’obiettivo vincolante o meno. Ora la palla passa, infatti, al Consiglio che il 23-24 ottobre dirà se il 30% potrà essere un target obbligatorio o meno. L’esito non è affatto scontato. Bisogna, infatti, fare i conti con le riserve sull’intero Pacchetto del “gruppo di Visegrad”, composto da Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria, a cui spesso si agganciano Bulgaria e Romania, contrario ai target e più concentrato sul problema della sicurezza energetica, complice la crisi ucraina, oltre che sul rilancio della competitività dell’industria europea.
Sulla carta, i Paesi più forti in termini di voti, Germania in primis, potrebbero agevolmente conquistare una maggioranza di blocco in Consiglio, ma l’Unione Europea, specie su politiche di lungo periodo, cerca di non procedere con un approccio da “pugno di ferro”. Specialmente in un momento storico come quello che stiamo attraversando non ci si limita a portare a casa il risultato, ma si cerca di includere nelle decisioni tutti i Paesi. Il quadro è quindi ancora ben lontano dall’essere chiaro, l’unica cosa certa è che entro ottobre si deve trovare un accordo – o forse un compromesso tra i 28 – e a tale fine la Presidenza italiana gioca un ruolo strategico di primissimo piano. Così come la Francia, che nel 2015 ospiterà una conferenza ONU cruciale sul clima e non si può permettere di partecipare senza un raggiunto impegno comune a livello UE.
Sui target proposti non tutti però sono entusiasti come a Bruxelles. Legambiente, per esempio, mette l’Unione Europea davanti ad un dato di fatto: l’Europa, per quanto riguarda l’energia, ha il più grande deficit commerciale al mondo, grazie alla sua dipendenza dai combustibili fossili, la cui riduzione potrebbe avere un impatto fortemente positivo sulla sua sicurezza energetica sempre più a rischio come testimonia la crisi ucraina. Il deficit energetico lo scorso anno ammontava a ben 423 miliardi di Euro, 64 solo per l’Italia. Secondo recenti analisi, sarebbe possibile ridurre al 2030 il consumo di combustibili fossili di 550 Mtep per un ammontare di circa 360 miliardi di Euro, di cui ben 250 miliardi grazie all’aumento del 40% dell’efficienza energetica. Il target appena fissato rappresenta, quindi, una grande occasione sprecata, poiché ridurre il consumo di energia del 40% è economicamente e tecnicamente possibile.
Legambiente, per circostanziare la propria critica, fa riferimento ad una risoluzione del Parlamento Europeo dello scorso febbraio e ad un recente rapporto dell’Istituto Fraunhofer. In entrambi i documenti si sostiene che è fattibile raggiungere l’obiettivo del 40% di riduzione del consumo finale di energia entro il 2030 e ridurre in questo modo l’utilizzo di gas equivalente alle attuali importazioni dalla Russia. Usare il 40% in meno di energia taglierebbe, infatti, le importazioni di gas del 40% e aumenterebbe l’occupazione del 3,1%. Sulla base di queste considerazioni, l’Associazione ambientalista ha invitato l’Italia, che presiede il semestre europeo, a trovare un nuovo accordo sulle politiche per il clima e l’energia 2030. l’idea di Legambiente è racchiusa nelle parole di Mauro Albrizio, responsabile delle politiche europee, il quale ha dichiarato che l’Europa entro il 2030 dovrebbe impegnarsi a ridurre le emissioni di gas serra del 55%, raggiungere il 45% di energia rinnovabile e tagliare il consumo di energia del 40%. Solo così si potrà garantire una reale transizione verso un sistema energetico a zero emissioni di carbonio.
Su posizioni analoghe a quelle di Legambiente anche il Partito dei Verdi Europei, che attraverso il proprio portavoce, Claude Turmes, ha prontamente dichiarato che è nell’interesse dell’Europa adottare un target molto più ambizioso per il 2030. Il percorso più efficace da seguire, secondo i Greens, sarebbe quello di scegliere un obiettivo di risparmio energetico del 35% per il 2030. “Esortiamo i Governi dell’UE e il nuovo Presidente della Commissione Jean Claude Juncker – ha poi aggiunto Turmes – a non seguire la Comunicazione di oggi e a essere molto più ambiziosi per ridurre la nostra dipendenza dalla Russia di Putin e per avviare l’Europa verso un futuro energetico sostenibile”.
Da questo batti e ribatti emerge non solo la “guerra delle percentuali” (brandite dalle diverse voci in campo come armi che determinerebbero la maggiore o minore efficacia del provvedimento), ma soprattutto l’influenza geopolitica delle misure messe in atto. Non a caso non c’è stato protagonista che interrogato sull’argomento non abbia citato l’Ucraina o Putin. Ma tra le strategie prese in considerazione, negli ultimi mesi, per assicurare la stabilità energetica dell’Europa centrale, bypassando la Russia, con un rifornimento sicuro e continuo di energia – in questo caso gas naturale – ci sarebbe la costruzione di un rigassificatore nel Nord Adriatico, sull’isola di Veglia (Krk), in Croazia, nei pressi della città di Fiume (Rijeka). Lo scopo finale sarebbe quello di formare un corridoio energetico nord-sud che garantirebbe forniture di gas naturale – probabilmente dal Golfo Persico – a Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Croazia, con collegamenti anche ai Paesi confinanti, inclusa l’Ucraina. La costruzione del rigassificatore potrebbe durare tra i due e i quattro anni, per essere pienamente operativo nel 2019. Lo scrive il quotidiano Jutarnji List di Zagabria, citando fonti “ben informate”. L’idea piacerebbe sia a Washington che a Bruxelles, tanto da considerare un cofinanziamento attraverso i fondi europei.
Beatrice Credi