NPE e moda: l’Europa vieta la tintura killer degli ecosistemi acquatici
Gli Stati membri dell’Unione Europea hanno deciso all’unanimità di vietare il nonifenolo etossilato (NPE), una sostanza chimica tossica presente nei capi di abbigliamento e responsabile dell’inquinamento idrico e dell’alterazione degli ecosistemi acquatici. Per essere venduti, gli indumenti non potranno contenere una concentrazione del composto organico maggiore dello 0,01%.
Il bando, in realtà esisteva già da più di 10 anni, ma la legislazione europea portava in seno una evidente contraddizione. L’impiego di NPE era vietato solo negli articoli prodotti all’interno dell’UE, lo stesso non valeva per le importazioni. Si generava così una sorta di doppio standard o di “scorciatoia commerciale“. Sul mercato europeo, infatti, potevano comunque arrivare prodotti finiti contenenti tale sostanza, purché realizzati altrove. Un buco normativo che permetteva, di fatto, di aggirare il divieto generando concorrenza sleale ma mettendo soprattutto a rischio la salute dell’ambiente.
L’NPE, infatti, nell’industria tessile è utilizzato soprattutto nella tintura delle fibre, per renderle più vivide e sgargianti, ma inquina le acque e ne compromette gravemente gli ecosistemi.
Quando si lava un capo d’abbigliamento di questo tipo, appena comprato, vengono rilasciate nell’ambiente una serie di sostanze tossiche che, una volta disperse in acqua, non vengono trattenute dai sistemi di depurazione. Tra queste sostanze c’è il nonilfenolo etossilato. L’NPE degrada poi in altre sostanze: tra queste vi è il nonifenolo (NP), che si accumula nei pesci e che, anche a basse concentrazioni, interferisce con il loro sistema endocrino, danneggiandone la fertilità, la crescita e lo sviluppo sessuale. Per quanto riguarda invece gli esseri umani uno studio pubblicato dall’Agenzia dell’Ambiente danese ha concluso che la presenza di NPE nei vestiti non dovrebbe comportare rischi per la salute umana. I condizionali sono sempre d’obbligo.
La scelta unanime dell’UE, attesa da tempo e anticipata dalla Svezia nel 2013, è stata sostenuta dagli scienziati presso l’Agenzia Europea delle Sostanze Chimiche (ECHA). E segna quindi un importante punto a favore di una maggiore sostenibilità nel mondo della moda. Una moda che, spesso, rende i consumatori complici inconsapevoli dell’inquinamento delle risorse naturali. Anche perché si tratta, in questo caso, di una sostanza per niente residuale nella catena produttiva degli abiti. Già nel 2011, infatti, un report di Greenpeace, dal titolo Dirty Laundry 2: Hung out to dry, aveva individuato la presenza di NPE in due terzi dei capi di abbigliamento testati, tra cui articoli di famossissime marche come Adidas, Nike, Lacoste e Ralph Lauren.
“Per i Paesi produttori, come la Cina, di cui l’Europa è da oltre un decennio il maggiore partner commerciale, l’esportazione verso il mercato UE dei propri prodotti tessili è fondamentale e il tempo per eliminare gradualmente l’NPE stringe”, ha commentato Yixiu Wu, attivista di Greenpeace responsabile della campagna Detox per il Sud-Est asiatico. La quale ha aggiunto: “L’industria tessile cinese ha bisogno di progredire nell’identificare e mettere al bando dai propri prodotti le sostanze chimiche nocive, altrimenti finirà per perdere un mercato chiave”.
La restrizione non sarà, tuttavia, valida per i beni riciclati o di seconda mano, visto che si suppone che la concentrazione di questa sostanza sia minima a causa dei numerosi lavaggi nel corso del tempo. Inoltre, le aziende produttrici hanno evidenziato che rispettare le restrizioni per l’NPE sarà difficile perché questa sostanza è onnipresente nella catena di fornitura e ha numerosi impieghi.
La Commissione Europea dovrebbe approvare e formalizzare il divieto nelle prossime settimane. Se sarà così, la messa al bando dell’NPE avrà effetto entro 5 anni, per dare tempo ai brand del mondo della moda di mettersi in regola.
Beatrice Credi