Natale alle Vallette, un quartiere in cerca di identità
Proseguono, con il terzo appuntamento, le “divagazioni cantautoriali di mobilità elementare” di Orlando Manfredi, in arte Duemanosinistra, a spasso per le città italiane alla ricerca della densità di significato – umano e ambientale – dei luoghi che ci circondano.
“Con una disposizione mentale serena e pratica, il viandante solitario parte per il suo viaggio. Se siete uno di questi, stranamente avrete ben poco a cui pensare; i vostri desideri sono semplici da soddisfare”, scriveva Virginia Woolf nei suoi diari di viaggio in Gran Bretagna (“Qui è rimasto qualcosa di noi”, Ed. Mattioli).
Provo a immaginarmi la torre di guardia di St.Ives e i paesaggi brumosi in cui la Woolf avrebbe ambientato il suo “Gita al faro”.
Ma qui non siamo in Cornovaglia e le due torri piantate verso il cielo, che vedo in lontananza, sono il passato e il presente industriale che si confondono, a distanza di pochi metri, sotto l’occhio terso delle Alpi. Davanti a me, il profilo appariscente del termovalorizzatore del quartiere “Vallette” di Torino.
Parrà stridente l’accostamento, ma la condizione del viandante è quella del di-vagare. E in questa nuova “divagazione di mobilità elementare”, al ritmo dei passi e della fidata chitarra di Lilliput – qui al curvone di via delle Primule – la vista della vecchia ciminiera e della nuova torre dell’inceneritore mi fa correre a Virginia Woolf, anche se sarebbe più appropriato sintonizzarsi con Vasco Brondi, e le sue Luci della Centrale Elettrica.
Ma che c’entrano la disposizione serena del viandante, descritta dalla Woolf, e gli scenari di Gita al Faro con le Vallette? Ho capito che c’entrano, per via della “sorpresa”. L’inclinazione di apertura e nudità con cui il viandante attraversa i luoghi pre-dispone sempre alla sorpresa, nel bene o nel male. Ma questa volta la sorpresa sta anche in quello che le Vallette hanno da raccontare al viaggiatore occasionale. L’impressione che se ne ricava è abbastanza distante dalla fama di “quartiere-ghetto” che da sempre l’accompagna.
Ma andiamo al principio. Tutto inizia qualche ora prima: sto scendendo la via Sansovino, a piedi, un po’ schiacciato dal turbine automobilistico senza fine. Alla mia sinistra, poco distante, un’estesa zona verde, non troppo distante dal vicino Parco della Pellerina. Scoprirò poi chiamarsi Parco Ameba. Ecco, se penso alla vita marginalizzata delle periferie, e all’offerta ai suoi giovani abitanti, Parco Ameba non mi sembra un nome di ottimo auspicio…
Ma tiriamo dritto. Oltrepasso Corso Molise e la situazione non pare migliorare. Su un muretto in lontananza vedo scritto “il S.Gesù sta arrivando”. Mi avvicino così da decifrare il geniale commento a controcanto: “butta la pasta”. Fantastico. Questa sembra uscita direttamente dal mercato di Corso Lombardia.
Svolto in Corso Toscana e mi ritrovo in Viale dei Mughetti. E siccome ogni esperienza ha una sua geografia, ho la sensazione che per me le Vallette inizino qui.
Mi abbandono ad un primo vagabondaggio senz’arte né parte. Altrimenti detto “andare a caso”. Ho imparato che anche questa è una fase conoscitiva importante. Ci sono posti in cui sembra che la grande mano dell’urbanista o – peggio – del geometra disponga per noi un percorso prestabilito, un ordine di passerella. Dunque è bene mescolare subito le carte del mazzo e reiniziare a giocare da zero. In questi andirivieni saltano subito all’occhio due cose: la prima è la quantità di zone “verdi”, costeggiate da alberi e aiuole. La seconda, a fare il paio con la prima, è la toponomastica delle vie. Da viale dei Mughetti si può svoltare in via dei Gladioli e da lì in via delle Magnolie, e ancora in via delle Primule. Viene in mente per un attimo l’illusione di una vita fiorita. Ci vuole un buon posto per una vita fiorita.
Poi ripenso alla storia di questo quartiere, che nasce alla fine degli anni Cinquanta, con la costruzioni delle Case Popolari, chiamate poi “le Torri”, destinate alle migliaia di operai – in gran parte immigrati – spremuti nei vicini stabilimenti della Fiat e della Thyssen. E allora diventa evidente e palpabile il velo sottile di utopia del quotidiano.
Ritorno su viale dei Mughetti e decido di seguire a piedi il percorso del tram delle Vallette, il Tre. Continuano schiere di alberi e piazzole verdi. Incrocio l’uscita di alcune classi da una scuola elementare. Di fianco alla scuola, un parco giochi, dove si avvicendano famigliole, bambini e mamme al seguito. Pare tutto troppo distante dalla violenza con cui è stata rappresentata la vita del borgo.
Mi fermo sotto un pergolato, a fare un po’ di foto. Incuriosito, esce da una porta adiacente un ragazzo vestito da studente di fisica (giacchetta di velluto e clarks, la mise di rigore). Invece Andrea è operatore sociale e si occupa di disabilità ed handicap. Gli spiego che ci faccio qui e mi accoglie dentro la sede dell’ “Orobilogio” – nome tratto dal Saltatempo di Stefano Benni. L’Associazione fornisce servizi riabilitativi per persone affette da disabilità intellettiva. Entriamo e ci troviamo in compagnia di una operatrice – Daniela – e di tre ragazzi chini sul tavolo dei compiti. In questo momento stanno redigendo insieme il “Giornalino Verde”, una specie di fratellino minore di Greenews, a misura di quartiere e di possibilità. Sottotitolo “dalla Natura all’Uomo e dall’Uomo alla Natura”.
“Per compensare la mancanza di infrastrutture culturali e ricreative sono nate negli anni tantissime aggregazioni di cittadini – centri d’Incontro, Associazioni, Acli – che si danno da fare, con iniziative e, talvolta, battaglie ma è chiaro che fanno quello che possono”, mi dirà a tal proposito Gabriele Boccaccini, regista storico della compagnia Stalker – dal film di Tarkovsky – e direttore artistico di Caos, Officina per lo Spettacolo e l’Arte, sede di uno spazio polifunzionale destinato a performance, incontri, spettacoli. Questa sì, isola felice, ma in acque limacciose, che tenta di rimettere al centro l’Arte, e in particolar modo il Teatro e la Performance, come veicolo di promozione della Comunità. “La scelta di fare di una periferia un nuovo centro dell’Arte è coraggiosa e terribilmente moderna, forse troppo per una città che ancora non è riuscita davvero a essere multicentrica”.
Nel Caos dell’Arte e del Teatro trovano voce e compartecipazione coloro che vivono ai margini ma anche le persone più fortunate, i comuni “vallettani”, che rivendicano orgogliosamente l’appartenenza. A Caos ci si arriva percorrendo quasi tutto il viale dei Mughetti, fino alla piazza Montale, vero ombelico delle Vallette, che ha aumentato il suo potere attrattivo proprio grazie all’attività, alle rassegne e stagioni del teatro. Qui si vede e si tocca con mano quel particolare aspetto dei posti che ancora ospitano una cittadinanza in costruzione. Piazza Montale è un ibrido, mostruoso e affascinante al tempo stesso. Un Golem di cemento e marmi, linee curve e frante, guazzabuglio e ordine.
Proprio alle Vallette, negli anni Settanta, iniziava l’attività del primo “Centro d’Incontro”, e dietro le quinte c’era ancora una volta Gabriele, agli inizi delle sue esperienze sul teatro partecipato. Il biglietto da visita che le Vallette si sarebbero sempre ritrovate, malgrado tutto, iniziò a prender forma lì, in quegli anni vitali ma anche estremamente spietati.
“Oggi il quartiere è molto cambiato ma il problema della sua identità percepita all’esterno rimane. Alla mancanza di altri centri d’aggregazione – rivolti soprattutto ai giovani – fa da drammatico contraltare il fatto che la gente pensi di non avere nessun buon motivo per farsi un giro alle Vallette”.
Senza saperlo, abbiamo mosso piccolissimi passi per cambiare un po’ le cose. E “qui è rimasto qualcosa di noi”, ridando voce a Virginia Woolf. Buon Natale, Vallette.
Orlando Manfredi
Playlist:
Virginia Woolf, Qui è rimasto qualcosa di noi. Diario di viagio in Gran Bretagna, Mattioli
Virginia Woolf, Gita al Faro
Le luci della Centrale Elettrica
Stefano Benni, Il Saltatempo, Feltrinelli.
Andrei Tarkovsky, Stalker