LOWaste: Ferrara capitale italiana dell’economia circolare
Ogni anno, l’ospedale di Ferrara produceva 90 tonnellate di rifiuto tessile: teli e camici usati in sala operatoria, che dopo 80 lavaggi – dice la legge – devono essere buttati. L’utilizzo del passato è d’obbligo, perché oggi nella città estense quella montagna di tessuti color verde acqua viene salvata dall’inceneritore e trasformata in cucce per animali, borse, interni di scarpe, copri-tablet, ma anche pantofole, pantaloncini, cuscini, astucci. E quella del tessile sanitario è solo una delle quattro filiere di economia circolare avviate a Ferrara grazie al progetto europeo LIFE LOWaste, che qualche mese fa si è concluso, lasciando però in eredità una gran quantità di porte aperte su nuove attività ancora in evoluzione, oltre a un nuovo modo di guardare ai rifiuti e all’economia locale.
Ma facciamo qualche passo indietro e torniamo al 2011, quando il Comune di Ferrara, insieme all’azienda di gestione dei rifiuti Hera, la cooperativa sociale La Città Verde e due reti di imprese specializzate in produzione etica e recupero di materiali (Impronta etica e RREUSE), pensa che una strada per ridurre i rifiuti e creare sviluppo può passare attraverso la chiusura di molti cerchi, passando da filiere lineari a filiere circolari. “Avevamo già dei progetti di riuso dei materiali. Con Ricicletta, per esempio, recuperiamo da tempo bici dismesse, per rimetterle poi sul mercato o darle in gestione agli hotel, che le noleggiano agli ospiti. Abbiamo poi un progetto per il recupero di pc in collaborazione con il carcere”, spiega l’assessore all’Ambiente Rossella Zadro. “L’idea è stata quella di mettere intorno a un tavolo aziende che producono materiali, aziende di gestione dei rifiuti e pubblica amministrazione per creare un’economia circolare che dà vita a nuovi oggetti usando gli scarti e non produce rifiuti, ma sviluppo e nuovi posti di lavoro”. E qui sta il punto: non si tratta solo di far bene all’ambiente, ma di creare nuovi modelli per rendere un territorio più ricco, creativo e innovativo, per ridurre la disoccupazione, per creare nuovi servizi.
Oltre a quella del tessile sanitario, sono partite altre tre filiere-pilota. Vedi per esempio quella degli inerti da demolizione, oggi usati per i fondi stradali: “E’ il punto di arrivo di un lungo lavoro che abbiamo fatto con l’università di Pisa e il ministero dell’Ambiente affinché gli inerti rispondessero agli stretti criteri di qualità previsti per le opere pubbliche. Inoltre, Ferrara è il primo Comune italiano ad aver adottato un capitolato per bandi pubblici che contempli il riuso dei materiali nelle opere stradali”, continua l’assessore. Per le strade riasfaltate di recente sono stati usati gli inerti, ed è stato scelto “il bitume arricchito con pneumatici fuori uso, che rende le strade più elastiche e drenanti, e abbatte i rumori”.
Anche gli arredi urbani danneggiati hanno una seconda vita: “Quando panchine o giochi per bambini sono rotti, vengono ritirati in collaborazione con la cooperativa sociale La Città Verde. Quando è possibile vengono risistemati e venduti sul mercato privato, perché la legge non permette ancora alle pubbliche amministrazioni di comprare oggetti ricondizionati. Quando non è possibile aggiustarli, vengono smontati per recuperati i diversi materiali”. La quarta filiera è quella dell‘olio alimentare esausto, da cui si ricavano biodiesel e glicerina. Quest’ultima “potrebbe essere utilizzata per produrre kit di saponi per gli hotel della città”, dice l’assessore.
Il progetto, finanziato al 50% dall’Unione europea, ha un valore complessivo di 1,1 milioni di euro. E’ la dimostrazione che costruire un’economia circolare è possibile e non serve una fortuna, mentre i vantaggi economici, poi, sono consistenti: “L’Europa calcola che questa economia ha un indotto annuo superiore a 1 miliardo di euro, e impiega 45.000 persone, tra cui anche disabili che altrimenti avrebbero difficoltà a trovare un lavoro”. LOWaste si è concluso a febbraio, ma le attività non si sono fermate: si lavora per aprire un Waste Fab Lab per giovani makers, e un Centro di preparazione al riutilizzo, pensato per intercettare mobili ed elettrodomestici di cui le famiglie vogliono disfarsi evitando che entrino nella filiera del rifiuto.
Ferrara rappresenta un modello da replicare in altre città: con altre filiere e altri attori, certo, ma seguendo lo stesso schema di governance, che ha mostrato di funzionare. Da cinque partner iniziali, oggi il progetto ne coinvolge 40. Il Comune ha creato la rete dei vari soggetti, affrontando tra i vari problemi anche quello dei costi: “Ci siamo chiesti a che prezzo possono essere ceduti i materiali da riutilizzare e quanto possono poi costare i riprodotti, perché si creai un sistema sostenibile”. La stessa amministrazione parteciperà come acquirente finale anche per gli oggetti in tessile sanitario, che saranno comprati come gadget per i musei.
“Abbiamo bisogno di nuovi modelli che vadano dal micro al macro. In ambito locale si possono creare tante reti concentriche per un’economia più solidale, più creativa, meno impattante, che offra più posti di lavoro”. Reti che poi, come nel caso di LOWaste, possono arrivare lontano, addirittura oltremanica: “Agli inglesi il nostro progetto con il tessile ospedaliero è piaciuto molto e sono in corso contatti con la società di servizi ospedalieri che lavora anche con l’ospedale di Ferrara per la fornitura dei teli verdi di riutilizzare”.
Veronica Ulivieri