Liberi e biologici: in Calabria la piccola rivoluzione del bergamotto
Nella canicola estiva, fermo in una radura del suo bergamotteto, Ugo Sergi tace un attimo. Butta lo sguardo tra gli alberi e ricorda quando da giovane studente, ospite di una famiglia danese, il profumo di bergamotto si sprigionò da una tazza di tè. “Lì conobbi l’Earl Grey. Il bergamotto utilizzato per aromatizzare il tè veniva dalla mia terra, anche se sulla confezione si dichiarava che arrivava dall’India”. Da allora sono passati anni: Sergi, erede di una famiglia di coltivatori di bergamotto e produttori di olio essenziale dell’agrume, è diventato avvocato, ha lavorato lontano dalla sua Calabria, ma poi venti anni fa è tornato, ha convertito l’azienda agricola (che si chiama appunto “Il Bergamotto“) al biologico e, cosa ancora più importante, con altri produttori certificati è riuscito a rompere una situazione di monopolio fino a quel momento accettata.
Siamo in provincia di Reggio Calabria, ad Amendolea, sulla fiumara omonima, nell’area di cultura grecanica. L’azienda di Sergi si trova a metà strada di quella lingua di terra lunga 100 chilometri che va da Villa San Giovanni a Monasterace, nella Locride, l’unica area del pianeta dove cresce questo agrume. “Qui si concentra il 95% della produzione mondiale di bergamotto. L’altro 5% è coperto dalla Costa d’Avorio, dove i francesi sono riusciti a farlo attecchire, anche se il prodotto ha una qualità molto più bassa rispetto a quello calabro. Il bergamotto è un agrume unico al mondo, che avrebbe potuto rendere quest’area ricchissima”, riflette Sergi.
La sua storia è particolare e ancora piena di aspetti non del tutto chiariti: “Non se ne conosce neanche l’origine botanica: fa parte della famiglia Citrus, ma non si capisce perché abbia scelto esclusivamente questo pezzo di costa ionica per crescere; dal seme nasce l’arancio amaro, di cui probabilmente è una mutazione. Per ottenere il bergamotto bisogna innestarlo su un albero di arancio amaro”. Se molto riamane ancora da scoprire, di questo agrume rotondo e dal profumo intenso si conoscono le numerose proprietà: “Le prime notizie risalgono al 1600, quando veniva usato in medicina come antisettico. Nel XVIII secolo un monaco italiano in Germania inventa l’acqua di Colonia, e da lì anche i profumieri iniziano a utilizzare il bergamotto, di cui poi si scoprono anche le qualità fissative, che permettono di amalgamare le fragranze e di conservarle. Poi, all’inizio del 1900, con la nascita dell’Earl Grey, il bergamotto trova impiego anche nell’industria del té”.
Tra il 1800 e il 1900, nella punta calabrese si piantano bergamotteti e l’economia è florida: “Nel 1956, il mio nonno in un solo anno guadagnò 16 milioni di lire dalla vendita dell’olio essenziale, chi produceva bergamotto allora viveva bene”. Di lì a pochi anni però, con il rapido sviluppo dell’industria chimica e l’arrivo sul mercato di fragranze di sintesi a poco prezzo, l’industria del bergamotto crolla. “In due anni non si riescono neanche più a coprire le spese. La crisi va avanti per tre decenni, fino agli anni Novanta, quando si ricomincia pian piano a valorizzare l’essenza naturale”. Se Ugo Sergi è un “Campione d’Italia” per aver creato un’alternativa a un sistema puntando su qualità, sostenibilità ambientale e giusto compenso per gli agricoltori, il padre e molti altri coltivatori della zona lo sono stati per aver resistito anni, senza mai mollare.
“Mio padre si è ostinato a coltivare il bergamotto senza ricavarne nulla. Aveva cercato un altro lavoro per prendere i soldi e abbuttarli nell’azienda agricola. Per risparmiare, aveva perso anche il vizio del fumo”. Allo stesso tempo, il padre obbliga Ugo ad andare via dalla sua terra. “Quando mio padre è morto, facevo l’avvocato, ma non mi piaceva. Così sono tornato e ho preso in mano l’azienda. È stato allora che ho capito perché mio padre e altri non avevano mai mollato: un po’ per la testa dura e la speranza di un ritorno dell’età dell’oro, ma soprattutto perché la fragranza di bergamotto, come si è scoperto una ventina di anni fa, predispone in modo positivo alla vita e dà benessere. Solo così posso spiegarmi una capacità di resistere durata trent’anni”.
Per l’azienda di Sergi la svolta è arrivata nel 1996, quando attraverso una giornalista francese entra per caso in contatto con l’azienda britannica The Body Shop. “Un giorno, l’amministratrice è piombata qui con i suoi collaboratori, e da quel primo incontro è nato un rapporto duraturo. Grazie a loro sono entrato sul mercato in modo autonomo”. È il primo passo per la nascita di Assobioberg, un consorzio di produttori biologici di olio essenziale, partito con tre soci e oggi arrivato a coinvolgere 18 produttori. “Qui per decenni ha comandato una sola azienda che ha creato un monopsonio, ossia una situazione di doppio imbuto, come unico tramite tra le piccole imprese di produzione e il mercato. Il nostro gruppo è riuscito a rompere questa logica. Per un’area come la nostra, afflitta da criminalità organizzata e mancanza di lavoro, è una rivoluzione”. Certo, non è stato semplice – “da allora subiamo controlli a tappeto” -, ma oggi Assobioberg commercializza più di 5.500 litri di olio essenziale biologico di bergamotto all’anno, e ha clienti in tutto il mondo, da Seattle a Tokio, passando per Corea del Sud, Australia, Cina, India. “Vendiamo soprattutto ad aziende cosmetiche, ma anche al settore del tè”. Da quella tazza di té in Danimarca, Ugo Sergi ne ha fatta di strada.
Veronica Ulivieri