Legno illegale, l’Italia fa orecchio da mercante alla normativa UE
Oggi, secondo l’OCSE, il giro d’affari legato ai traffici internazionali di legno illegale arriva a 150 miliardi di dollari annui, e l’Unione europea in questo scenario deve prendersi le proprie responsabilità.
Da marzo 2013 l’UE vieta, con una dettagliata normativa, le importazioni di legname e dei suoi derivati da qualsiasi Paese del mondo se proveniente dal taglio illegale e chiede agli operatori e alle autorità nazionali di verificare e punire chi commercia legname di origine controversa. Il Regolamento 995, conosciuto anche con il nome di European Union Timber Regulation (EUTR), è stato emanato proprio per contrastare il commercio illegale di legno e derivati, per tutelare le foreste del Pianeta e porre così un freno a irresponsabili processi di deforestazione che stanno cancellando i polmoni verdi della terra e compromettendo le risorse essenziali. Secondo la legge, tutti i prodotti in arrivo devono essere dotati di un “certificato d’origine” legale. Gli obblighi previsti dal Regolamento UE sono sostanzialmente tre: la designazione delle autorità competenti, la redazione delle regole sulle sanzioni applicabili in caso di infrazione e un adeguato sistema di controlli.
Tuttavia, a più di un anno dall’entrata in vigore del Regolamento, risulta che alcuni Paesi sono indietro nella lotta contro l’import del legname illegale, e l’Italia è fra questi. Bocciato da Bruxelles, il Belpaese deve ancora attuare il sistema sanzionatorio e di controllo previsto dalla normativa comunitaria. L’autorità competente italiana, il Ministero delle Politiche Agricole, è tenuta infatti a contrastare le importazioni di legno illegale, a effettuare ispezioni e, in presenza di casi sospetti, a mettere in quarantena i prodotti di origine controversa. Nulla di tutto ciò è stato messo ancora in pratica.
Questo significa che il sistema messo a punto dall’Europa per bloccare l’arrivo di legname del traffico fuorilegge in Italia è ben lontano dall’essere completato e quindi dal produrre risultati contro una piaga globale che provoca deforestazione, cambiamenti climatici e perdita di biodiversità; senza contare i mancati profitti per governi e comunità locali. La maggioranza di questo legname arriva, infatti, da paesi come il Congo, o da aree geografiche quali il Sud-est asiatico o l’Amazzonia, spesso dalla distruzione di alberi centenari. “Il taglio illegale – ha specificato Greenpeace in un comunicato stampa – costituisce il 50-90 per cento del volume delle attività forestali in aree tropicali chiave. Globalmente, è di provenienza illegale il 15-30 per cento di tutto il legname commerciato”. Se la realtà non cambia, l’Italia rischia di diventare la porta d’ingresso del legno illegale in Europa.
Ma gli avvertimenti non arrivano solo da Bruxelles. Come sostiene Salva le Foreste, l’Osservatorio indipendente sulle foreste primarie, “l’Italia fa orecchio da mercante e mantiene i sui porti spalancati alle importazioni di legname fraudolento. Mancano le sanzioni e quindi, senza sanzioni, chiunque può continuare a importare senza timori legname di origine illegale o sospetta”.
In seguito a numerose sollecitazione da parte delle associazioni ambientaliste, il ministro Maurizio Martina aveva promesso lo scorso maggio il massimo impegno nell’applicazione dell’EUTR, ma il decreto legislativo è ancora bloccato. Ad oggi, quindi, l’Italia non ha alcuno strumento per controllare il mercato del legno e per combatterne il traffico illegale.
Per l’inadempienza dimostrata ad un anno dall’entrata in vigore dell’EUTR l’Italia rischia quindi ora di diventare soggetto di una procedura d’infrazione proprio mentre di trova a gestire la presidenza dell’Unione Europea.
Come l’Italia anche altri Paesi europei sono molto indietro: 12 Stati Membri su 28 non rispettano i tre gli obblighi richiesti dal Regolamento. Al nostro stesso livello, Francia, Romania, Grecia, Lettonia, Slovenia, Croazia e Lussemburgo. Peggio di noi, con nessuna delle tre regole rispettate, Spagna, Polonia, Ungheria e Malta. “Chiediamo alla Commissione europea di avviare azioni legali contro i Paesi che non hanno rispettato i loro obblighi”, ha dichiarato a questo proposito Esperanza Mora, della campagna Foreste di Greenpeace Italia.
Al fianco del Regolamento, l’Unione Europea da tempo sta firmando “accordi salva-foreste” con i principali Paesi esportatori, perché promuovano la certificazione di legalità dei prodotti. Sono in fase di attuazione quelli con Camerun, Repubblica Centrafricana, Ghana, Indonesia, Liberia, Repubblica del Congo, mentre risultano ancora in fase di negoziazione quelli con Costa d’Avorio, Gabon, Repubblica democratica del Congo, Guyana, Honduras, Laos, Malesia, Thailandia e Vietnam.
Beatrice Credi