L’arte di meditare camminando
Per la rubrica “Racconti d’Ambiente” pubblichiamo oggi un estratto del nuovo libro “L’arte del camminare. Consigli per partire con il piede giusto” di Luca Gianotti (Ediciclo, p. 160, 14.50 euro) .
Qualche anno fa lessi per la prima volta queste affermazioni: «Meditazione camminata significa praticare la meditazione mentre camminate. È una pratica che vi darà gioia e pace. Camminando, ansie e preoccupazioni scivoleranno via. Per avere la pace della mente, per ottenere l’auto-liberazione, imparate a camminare così. Tutti sono in grado di farlo. Basta un livello iniziale di consapevolezza e il sincero proposito di essere felici». Era stata scritta da Thich Nhat Hanh, che non conoscevo, maestro zen tra i più importanti al mondo, uomo di pace e maestro di vita. Da allora ho provato a capire cosa significasse, e ho cercato di camminare con consapevolezza e attenzione. Le prime prove le ho fatte con camminate dell’attenzione… al buio, di notte, e con gli occhi chiusi. Poi le camminate in silenzio, respirando in sincronia con il passo. E la svolta quattro anni fa, l’emozione di camminare fianco a fianco con l’anziano Thich Nhat Hanh per le strade di Roma, in una di quelle camminate collettive che lui organizza regolarmente ovunque vada. E questa opportunità ho avuto la fortuna di provarla molte altre volte successivamente.
La cosa interessante è che pratiche simili alla meditazione camminata si trovano in differenti culture lontanissime tra loro. Esercizi simili, espressi con linguaggio differente, vengono proposti dagli sciamani toltechi, quelli che ci ha fatto conoscere Carlos Castaneda con i suoi libri. Don Juan nei libri di Castaneda non ne parla se non di sfuggita, ma i seguaci di Castaneda sono tornati in queste remote regioni del Messico e hanno riportato queste pratiche, che loro chiamano “camminate dell’attenzione”. Anche nei pellegrinaggi medievali il camminare era uno strumento, e non un semplice mezzo di trasporto. I pellegrini partivano per curare mali fisici ma anche problemi interiori, e il camminare era la meta vera del pellegrinaggio, e non (o non solo) il semplice mezzo per arrivare a Santiago o a Roma. Pensate a Sigerico, il vescovo di Canterbury che nell’anno 990 compì uno dei pellegrinaggi più famosi della storia, quello da cui è nata la Via Francigena moderna: Sigerico camminò per ottanta giorni, arrivò alla meta, cioè Roma, incontrò il papa, si fermò solo tre giorni e ripartì per altri ottanta giorni di cammino. È Roma o sono i centosessanta giorni di cammino l’aspetto più importante del pellegrinaggio?.
La camminata base, la tecnica da cui partire per provare questa pratica, è apparentemente molto semplice. Gli sciamani toltechi la chiamano “camminata dell’attenzione”, i maestri zen “camminata consapevole”. Si cammina in silenzio, da soli o in gruppo. In fila indiana, o in ordine sparso. Ci si concentra sul proprio respiro, sincronizzandolo con i passi. Per esempio, faccio due passi mentre inspiro, e poi espiro facendone altri due. Il respiro non deve essere forzato, accentuato, ma rilassato. Per aiutarci a essere consapevoli sia del respiro che dei passi, possiamo contare. Oppure possiamo usare una frase rituale, un mantra, per esempio Thich Nhat Hanh suggerisce “sì, sì” in inspirazione e “grazie, grazie” in espirazione. “Mantra” in sanscrito significa proprio “liberare la mente dai pensieri”, ed è questo infatti il nostro obiettivo: concentrando la nostra attenzione sui passi e sul respiro, liberiamo la mente da altri pensieri, per rimanere ancorati sul qui e ora del nostro cammino. Questa è la presenza mentale degli orientali. Poi ci sono le difficoltà. Noi occidentali abbiamo una mente che corre, che vaga e non sa stare ferma. Allora non dobbiamo arrabbiarci se non riusciamo a liberare la mente, ma dobbiamo lasciare che i pensieri che ci arrivano come vo cine nella testa entrino ed escano, lasciamoli passare, consideriamoli come dei suoni esterni a cui dare poca attenzione. La velocità non è importante, ma più riusciamo ad andare piano, più la meditazione è profonda. In più, prestiamo attenzione al nostro passo. Non camminiamo come bisonti, lasciando cadere il piede per terra, ma controlliamo i nostri piedi, costruendo una camminata leggera e ferma, solida e silenziosa, calma e dignitosa. Come dice Thich Nhat Hanh, il nostro passo deve somigliare al sigillo di un imperatore. Deve essere compiuto con la fermezza necessaria per imprimere bene il sigillo nella cera lacca, e contemporaneamente con la delicatezza che eviti sbavature. A questo primo esercizio ne seguono altri, sempre più complessi. Gli sciamani conoscono circa quaranta camminate diverse, alcune delle quali trascendono le normali percezioni, conducendo a stati alterati di coscienza, simili all’effetto di droghe. I buddhisti sono meno sistematici, lavorano meno sulle tecniche, non sono interessati agli stati alterati, ma vanno più in profondità, rallentando sempre più il passo, liberando sempre più la mente.
Utilizzare il camminare come meditazione è un esercizio bellissimo che si può praticare con regolarità o quando serve, per riportarci in presenza mentale o per aiutarci quando siamo stanchi e preoccupati. È importante anche ricordare che una vera pratica zen non si impara solo sui libri, ma serve il contatto con un maestro e l’esercizio costante. Come tutti i tipi di meditazione, anche in quella camminata è necessario praticare regolarmente per raggiungere qualche risultato, e si deve avere pazienza perché all’inizio ciò che apparentemente sembra facile non lo è. Ma una pratica regolare e una certa disciplina possono incidere sul corpo e sullo spirito in modo da cambiare profondamente la nostra vita. L’arte di camminare in meditazione consiste di diversi singoli elementi che diventano efficaci solo quando sono re- cepiti nella loro totalità. Mentre nella nostra vita quotidiana saltiamo da una cosa all’altra, praticare un esercizio zen richiede l’arresto della confusione tra ciò che è spirituale e ciò che è attività fisica, il tentativo di superare questo dualismo e la concentrazione della nostra attenzione sul tutt’uno del camminare stesso. Nella meditazione camminata sia la sequenza dei movimenti sia le percezioni sensoriali sono subordinate a un obiettivo, la padronanza del proprio corpo e dei propri sensi. Altre pratiche di moto hanno obiettivi simili, pensiamo per esempio al Tai Chi, al Qi Gong, o alle danze sufi.
Luca Gianotti*
*Fondatore dell’associazione La Boscaglia, laurea in filosofia, guida di trekking da 15 anni, in anni passati scialpinista con all’attivo alcune spedizioni alpinistiche importanti tra le quali la traversata del Vatnajokull (Islanda) e la salita al Khan Tengri (Kirghizistan). Accompagna gruppi in Sardegna, Creta, Capo Verde, Majella, Pollino, Murge, perchè ama i luoghi mediterranei. Si dedica all’approfondimento dei temi del camminare come terapia, e tiene corsi di camminate consapevoli. Pubblica la newsletter CamminareInforma.