Inverdimento della PAC: la sottile linea tra flessibilità e resa
La discussione sulla nuova Politica Agricola Comune europea (PAC), è entrata nel vivo, e i primi segnali di disaccordo riguardano uno degli elementi di maggiore discontinuità rispetto alle regole attuali, quello del greening, che in italiano suona come inverdimento. I segnali arrivano dall’ultimo Consiglio Europeo sull’agricoltura, che si è svolto a Bruxelles lo scorso 15 maggio. Il Consiglio ha visto riuniti i ministri dell’agricoltura dei 27 Paesi membri dell’UE – per l’Italia il ministro Catania – che hanno chiesto alla Commissione una maggiore flessibilità sul tema dell’inverdimento.
Nella proposta iniziale la Commissione aveva previsto che quasi un terzo dei pagamenti diretti agli agricoltori fosse condizionato all’attuazione di misure per la sostenibilità ambientale. Al di là dell’agricoltura biologica (automaticamente esclusa dal rispetto di queste regole, in quanto già praticate), la Commissione UE aveva individuato tre pratiche eco-compatibili: differenziare le colture (un minimo di tre), prevedere pascoli permanenti e dedicare il 7% del terreno coltivabile a “aree di interesse ecologico”, il cui scopo fosse quello di contribuire, ad esempio, al mantenimento della fertilità del suolo. In termini di finanziamenti, se questa proposta fosse approvata, circa il 70% delle spese previste dalla PAC, che corrispondono a 317,2 miliardi di Euro, andrebbero a coprire i pagamenti diretti agli agricoltori, il 20% servirebbe per finanziare le misure di sviluppo rurale e il restante 10% coprirebbe i sussidi alle compagnie alimentari per le esportazioni.
L’opposizione degli Stati membri si è fatta sentire a gran voce, tanto da spingere il Commissario Dacian Ciolos ad affermare, durante la conferenza stampa a margine del Consiglio, che “la Commissione sarà più flessibile sul tema del greening, senza però tradire lo scopo originale della proposta”. Le nuove idee, che dovrebbero andare incontro alle richieste degli Stati sono le seguenti: per quanto riguarda la diversificazione delle colture, se nel documento originale si prevedeva l’esenzione solo per le piccolissime produzioni (inferiori a tre ettari), ora si arriva fino a dieci ettari. Inoltre. Ci sarà inoltre la possibilità di riconoscere, come valide ai fini del greening, le misure ecologiche già applicate da un produttore nell’ambito dei Programmi di Sviluppo Rurale, sulla base del principio di equivalenza. Ciò significa che chi già adotta misure necessarie a ricevere i fondi del secondo pilastro della PAC, nel quadro di progetti finanziati dall’UE, non dovrà nuovamente dimostrare il rispetto dei criteri del greening, che rientra invece nel primo pilastro della politica agricola, quello del sostegno al reddito. Infine, la Commissione dà una definizione di “pascolo permanente”, che potrebbe arrivare a ricomprendere anche le aree con presenza di alberi, piante e arbusti.
Nonostante l’apertura di Ciolos, gli Stati non sono del tutto soddisfatti. Il ministro Catania ha dichiarato che “La Commissione europea ha fatto un lavoro utile e le aperture sono interessanti, ma molto dobbiamo ancora fare”. E per quanto riguarda la diversificazione delle colture, Catania propone un sistema a tre fasce: le piccole aziende, di una superficie da zero fino a 15 ettari esentate da qualsiasi obbligo (la media delle aziende italiane è di 8-9 ettari); le aziende medie, sopra ai 15 ettari e fino a 50, potrebbero avere un obbligo di due colture; sopra i 50 ettari rimarrebbe l’obbligo di 3 colture. Per le aree di interesse ecologico, “la percentuale del 7% è troppa elevata e va ridotta – dice il ministro, secondo il quale devono essere escluse da qualsiasi vincolo anche le aziende che hanno colture permanenti, come frutteti, oliveti e altre, in quanto colture arboree già virtuose sotto il profilo ambientale. “Mi sembra il momento di chiarire una volta per tutte – continua Catania – a riguardo delle sanzioni, che non possiamo immaginare che l’agricoltore che non si trovi in linea con le norme sul greening, perda in tutto o in parte l’aiuto di base dei pagamenti diretti UE, come propone Bruxelles. Questo è impensabile. Il massimo della sanzione concepibile, conclude, può essere quello di perdere la componente dell’aiuto verde”.
Insoddisfatti, seppur per ragioni opposte rispetto a quelle degli Stati membri, sono anche le associazioni ambientaliste. Motore della protesta è L’Ufficio Europeo dell’Ambiente (EEB) che rappresenta una coalizione di gruppi ambientalisti. “Questo tentativo di sabotare il vincolo verde sulla PAC, ha detto Faustine Defossez, attivista per l’agricoltura all’EEB, rappresenta l’ultima possibilità per dare una giustificazione ai contributi che vengono erogati all’agricoltura mentre la crisi costringe i governi di tutta Europa a fare dolorosi tagli alla spesa”. Inoltre secondo la COPA-COGECA, le organizzazioni che rappresentano gli agricoltori e le cooperative agricole europee, vincolare la PAC alle performance è una minaccia al reddito degli agricoltori ed alla sopravvivenza delle imprese.
Per avere maggiori chiarimenti, si dovrà attendere il prossimo 18 giugno, quando si riunirà nuovamente il Consiglio UE sull’agricoltura, e il Parlamento Europeo presenterà il proprio punto di vista sulla riforma della PAC. Si tratta, quest’ultima, di un’opinione essenziale, dato che la politica agricola ricade nel regno di co-decisione da parte delle due istituzioni: il Consiglio dell’UE, composto dai governi nazionali, e il Parlamento, che rappresenta i cittadini. Anche Paolo De Castro, presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo, ha dichiarato che, pur apprezzando “le aperture della Commissione su alcuni aspetti del greening, siamo ancora molto lontani dalle proposte che presenteremo il mese prossimo”.
Donatella Scatamacchia