Il paradosso della plastica. Ora le multinazionali ci vogliono salvare dall’eccesso di rifiuti nell’ambiente
BASF, ExxonMobil, Shell, SUEZ, Total, Chevron Phillips Chemical Company LLC, Mitsubishi Chemical Holdings, NOVA Chemicals, Formosa Plastics Corporation USA, Henkel, Procter & Gamble, Versalis (Eni) e altre 16 corporation “ attive nella value chain dei beni di consumo e della plastica”, e cioè che producono, utilizzano, vendono, processano, raccolgono e riciclano plastica. Sono queste le aziende che il 16 gennaio scorso hanno annunciato la costituzione dell’AEPW, l’Alliance to End Plastic Waste, un’alleanza mondiale (senza scopo di lucro) che ha l’ambizione di proporre “soluzioni innovative per contrastare la dispersione dei rifiuti di plastica nell’ambiente, in particolare negli oceani“. Un miliardo di dollari di investimento complessivo e l’obiettivo di destinare, nell’arco dei prossimi cinque anni, 1,5 miliardi di dollari alla lotta ai rifiuti di plastica dispersi nell’ambiente.
Una notizia che lascia quantomeno perplessi. La si può leggere nell’ottica del “bicchiere mezzo pieno”, ovvero come applicazione molto pragmatica del principio chi inquina paga, visto che sono loro a immettere sul mercato tonnellate di oggetti di plastica ogni anno – proprio quegli stessi oggetti che, in buona parte, finiscono ad inquinare i fiumi e gli Oceani del pianeta. Ma questo pagare non è frutto – come sarebbe auspicabile – di un indirizzo normativo di “fiscalità ecologica“, che dovrebbe rendere meno vantaggioso l’utilizzo di materiali plastici, ma si tratta di un’azione totalmente volontaria da parte di soggetti privati e pertanto revocabile o attuabile a piacimento. Se la si legge, infatti, secondo la prospettiva opposta la notizia può suonare, al contrario, piuttosto beffarda. E’ credibile che a proporsi come “salvatori del Pianeta” siano quelle stesse multinazionali del settore petrolifero, chimico e della grande distribuzione che hanno, nella plastica, uno dei business più redditizi? Tanto più che non si fa minimamente accenno, nella nota stampa, alla possibilità di ridurre a monte la produzione di plastica, ma semplicemente all’obiettivo di migliorarne il recupero e il riciclo. Fermo restando che il riciclo della plastica, seppur preferibile all’abbandono nell’ambiente o in discarica, non è certo un processo industriale ad impatto zero.
Il classico ritornello dei buonisti dell’”innovazione” è che la plastica non va demonizzata. No, io credo che l’80% della plastica vada proprio demonizzata, a partire dal monouso. Si può salvare, ad essere indulgenti, un 20% di materiali, che grazie alla loro effettiva durabilità (era questo il senso del Moplen inventato da Giulio Natta, non l’usa e getta) sarebbero oggi difficilmente sostituibili (ma mi auguro che lo potranno essere in futuro).
La dichiarazione di esordio del neo presidente AEPW, nonché Presidente e CEO di Procter & Gamble, David Taylor, è imbarazzante nella sua ovvietà e inconsistenza: “Come è risaputo, i rifiuti di plastica sono un elemento estraneo agli oceani e a qualsiasi altro ambiente naturale”. Chapeau per la pronta intuizione, verrebbe da dire! “Siamo di fronte a una sfida globale seria e complessa – prosegue Taylor – da affrontare con la massima rapidità e con una leadership forte“, dove forte sembra voler dire “da parte di chi ha i soldi per farlo” e che pertanto detterà le regole. “La nuova Alleanza – conclude il presidente – rappresenta il massimo sforzo realizzato sino a oggi per dire basta ai rifiuti di plastica dispersi nell’ambiente”. E questo, purtroppo, è vero.
Il metodo che l’AEPW dichiara di voler utilizzare è quello di “collaborare con gli altri soggetti coinvolti e applicare le risorse e le esperienze tecniche e ingegneristiche dei soci dell’Alleanza per promuovere una strategia integrata in quattro parti: sviluppo delle infrastrutture, innovazione, formazione e coinvolgimento e pulizia”. Una manina sul lucroso business della gestione dei rifiuti? “Il problema dei rifiuti di plastica è evidente e suscita preoccupazioni in tutto il mondo – aggiunge Bob Patel, CEO di LyondellBasell e vicepresidente AEPW – Deve essere affrontato e siamo convinti che sia arrivato il momento di agire.” Un po’ tardivo.
Come strategia di comunicazione quella di AEPW non è certo una novità, anzi sta diventando la prassi nel nuovo millennio: i fabbricanti di pesticidi non combattono più gli ambientalisti, ma sponsorizzano l’”agricoltura sostenibile”, i petrolieri esaltano la “mobilità del futuro”, i produttori di sigarette incoraggiano gli “stili di vita sani”, i brand della moda che realizzano orrendi pelliccioni sintetici in Cina sposano la causa animalista e avanti così, in una continua corsa a riverginare la propria immagine, con la compiacenza di istituzioni e “scienziati” molto business oriented, presunti ecologisti, sedicenti ”guru dell’innovazione”. Del resto i rifiuti puzzano mentre pecunia non olet.
Andrea Gandiglio