Il linguaggio della Borsa e quello del Meteo
Per la rubrica “Racconti d’Ambiente” pubblichiamo oggi un estratto del libro “Eventi Estremi”, di Tonino Perna, edito da Altreconomia Edizioni (pag. 144 , 12.00 euro ).
22 giugno 2009. Crollano gli indici di Borsa in Europa e negli States.
“Ci sono ancora rischi di una improvvisa emergenza per una inaspettata turbolenza sui mercati finanziari”, così dichiara Jean-Claude Trichet, presidente della BCE. “Stiamo sperimentando ‘turbolenze’ che un anno fa non avrei neppure sognato”, dichiara il premier tedesco Angela Merkel dopo l’ennesimo crollo delle Borse europee del 23 novembre 2010. Il giorno prima il servizio Meteo di Sky annunciava “Turbolenza atlantica in arrivo sull’Europa del Sud”. “Bruciati 145 miliardi di euro”, titolava il Sole 24 ore il 7 febbraio 2008.
Due mesi prima, il 14 dicembre: “Tonfo delle borse: Bruciati 200 miliardi”. Il 16 settembre del 2008: “L’Europa e Wall Street bruciano 825 miliardi di dollari”. Durante il biennio 2007/2009 il verbo to burn è stato usato decine di volte dai giornali di tutto il mondo occidentale. Durante le fasi più delicate della speculazione finanziaria che ha colpito la Grecia, il primo ministro Papandreou ha lanciato un messaggio al mondo il 28 aprile del 2010: “Aiutateci a spegnere l’incendio, o bruceremo tutti”.
Nell’estate successiva un altro tipo di incendio, indotto da forti venti e siccità, a messo a repentaglio la vita di centinaia di migliaia di persone, dalla Grecia alla Russia che ha pagato il maggior prezzo.
Bruciano le foreste e bruciano i titoli in borsa, ma le foreste e la borsa non crescono allo stesso modo. Le borse crescono in fretta e poi implodono. Le foreste crescono lentamente ma basta un fiammifero per distruggerle in poco tempo. I “capitali” bruciano velocemente e altrettanto velocemente si ricostituiscono, mentre per ricostruire una foresta occorrono decenni. La differenza è profonda, ma c’è una tendenza all’omologazione linguistica dei due fenomeni.
Gli uragani o i tifoni si possono definire come bolle atmosferiche che si formano con ondate anomale di calore. Che cosa c’entrano dunque con le variazioni nei listini di borsa? Eppure, l’espressione uragano è ricorrente nel linguaggio finanziario. Si è parlato nel 2008 dell’uragano Madoff, dal nome del truffatore statunitense che, usando il vecchio metodo Tom Ponzi della finanza piramidale, ha derubato 50 miliardi di dollari a grandi e piccoli risparmiatori. Ci si è domandati “perché durante i lunghi mesi dell’uragano finanziario2 il sistema creditizio italiano ha dimostrato grande solidità?” Un evidente nonsense, dato che un “uragano” non è mai durato “lunghi mesi”.
In campo meteorologico, l’espressione “tempesta perfetta” è stato usata per la prima volta da Sebastian Junger, giornalista e scrittore, per descrivere una tempesta che si è verificata nel 1991 ad Halloween, nel Nord-Est degli Stati Uniti. Junger ha pubblicato “The Perfect Storm” nel 1997 ed il successo di questo libro e del film con George Clooney ha reso popolare l’espressione.
“Tempesta perfetta” è stata definita l’ondata di maltempo che ha colpito la costa Est degli Usa il 6 febbraio del 2010. Ma nel settembre del 2008, “tempesta perfetta” era stato definito il crollo della Borsa di Wall Street. Non era mai stata definita così in nessuna delle sette crisi e crolli finanziari che si sono registrati dal 1987 ad oggi.
Il linguaggio è rivelatore di qualcosa di più di una semplice coincidenza. Il fatto che nell’ultimo decennio il linguaggio dei metereologi sia stato mutuato dagli analisti della finanza è il segno manifesto di un processo che potremmo definire “la naturalizzazione dei mercati”.
I mass media hanno amplificato questi nuovi termini usati dagli operatori di Borsa e l’hanno resi di uso comune. L’operazione è tutt’altro che ingenua. Abituandoci a parlare di turbolenze, incendi, tempeste, ecc. nel mondo della finanza abbiamo introiettato come “naturale” un fenomeno che è invece totalmente sociale e politico.
Se i mass media ci segnalano l’arrivo di una turbolenza finanziaria, di capitali che vengono bruciati in Borsa, di “tempesta perfetta”, il grande pubblico degli utenti si abitua a percepire i “mercati finanziari” come un fenomeno naturale e ineluttabile. D’altra parte, per millenni e fino alla rivoluzione industriale, l’umanità di fronte alle “catastrofi naturali” invocava gli dei o un dio, nelle religioni monoteistiche, perché intervenisse e salvasse la loro terra. Non solo, ma ogni catastrofe naturale -che fosse un terremoto, un’alluvione, un forte uragano o una prolungata siccità- veniva percepita e vissuta dalle popolazioni come una punizione divina. E ancora oggi accade in alcune aree rurali, o nei Paesi del Sud del mondo.
Questo inconfutabile dato storico va tenuto ben presente per capire che cosa sta succedendo nel nostro mondo del nuovo millennio. Infatti, possiamo notare come ogni Paese colpito dai flussi finanziari speculativi viene messo sotto inchiesta, viene colpevolizzato dai mass media che giocano il ruolo dei messaggeri dell’implacabile dio della Borsa. Guardiamo, ad esempio, cosa è stato scritto sulla crisi irlandese o greca e come questi Paesi siano stati messi sul banco degli imputati. I greci, che fino a qualche anno fa erano visti come un simpatico popolo di artisti che vivevano di turismo e buona cucina, sono stati dipinti come un manipolo di fannulloni parassiti che non pagano le tasse e vivono di prebende statali, finti lavori, sussidi a pioggia, incentivi economici per chi arriva in orario al lavoro, ecc. Per gli irlandesi il cambiamento è stato ancora più radicale. Per un decennio si è parlato e scritto del “miracolo irlandese”, di un fantastico modello da imitare, poi improvvisamente si è scoperto -quando l’Irlanda è caduta sotto i colpi della speculazione finanziaria- che questo Paese aveva prodotto una gigantesca bolla immobiliare, che i suoi abitanti si erano tuffati nella finanza e nella rendita parassitaria, godendo di favolosi prestiti dalle banche straniere.
Questo processo di “colpevolizzazione” è totalmente funzionale alle misure che governi, Ue e Fondo monetario Internazionale pretendono dai Paesi indebitati o insolventi: tagliare drasticamente le spese sociali, ridurre i dipendenti pubblici, abbassare i salari.
Tonino Perna*
*Tonino Perna economista e sociologo, è docente di Sociologia Economica presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli studi di Messina.Il suo impegno sociale e politico si è diviso tra il Sud d’Italia e il Sud del mondo. Fondatore della Ong Cric, si è occupato a lungo di commercio equo e solidale, è stato presidente del “comitato etico” di Banca Etica e -per cinque anni- presidente del Parco Nazionale dell’Aspromonte. Ha scritto decine di articoli e saggi tra cui ricordiamo Fair Trade (Bollati Boringhieri, 1998), Aspromonte: i parchi nazionali nello sviluppo locale (Bollati Boringhieri, 2002), Destra e sinistra nell’Europa del XXI secolo (Altreconomia, 2006), Il manuale del piccolo usurario e del grande speculatore (Altreconomia, 2008)