“Giardini globali”. Una filosofia dell’ambientalismo urbano
Quali benefici possono portare i giardini alla vita umana, e in particolar modo a quella di chi vive in città? Marcello Di Paola, un giovane filosofo, esperto di teoria e pratica di giardini, esplora le potenzialità dei giardini quali strumenti fronteggiare un significativo numero di problemi ambientali, in particolare la perdita di biodiversità e il cambiamento climatico, integrando sostenibilità ecologica, efficienza economica e giustizia sociale. Il libro vuole sottolineare non solo il lato etico del lavoro in giardino – dove per etico si intende ciò che ha a che fare con il proprio carattere e con il proprio modo di vedere le cose, di agire e di vivere – ma anche il suo valore pubblico, morale e politico: dove per morale si intende ciò che riguarda il modo in cui trattiamo gli altri, e per politico ciò che riguarda i nostri modi di vivere insieme. Per la rubrica Racconti d’Ambiente pubblichiamo un estratto del cap. 4 del libro “Giardini e virtù ambientali” edito da Luiss Edizioni.
Lo stupore di fronte alla natura, ci dice Platone, è all’origine di ogni attività di conoscenza e dunque di ogni sapere umano. Ci stupiamo delle cose non solo perché non sappiamo cosa pensare di esse, ma anche perché non sappiamo come pensare a esse. Stupirsi vuol dire sapersi lasciare investire da ciò che è stupefacente senza preclusioni, ma vuole anche dire saper instaurare e mantenere un rapporto di coinvolgimento ravvicinato, quasi inquisitivo, verso di esso. In ciò lo stupore si mostra figlio di un atteggiamento creativamente ricettivo e differisce dallo sbalordimento, che ci vede invece meramente ricettivi.
La natura, dai gorghi spaziali al neutrino, è un immenso dispensario di stupore per chiunque sia disposto a farsi stupire. La capacità di stupirsi è un modo di porsi verso il mondo senza preconcetti, lasciando a esso la possibilità di affermarsi in tutta la sua complessità e il suo mistero senza banalizzarlo – e di lasciarsi attrarre da quel mistero, non abbandonandosi a esso ma cercando di leggerne i tratti, come un cieco riconosce i volti delle persone tastandoli leggermente con la punta delle dita. La capacità di stupirsi è stata considerata una virtù ambientale fondamentale fin da quando l’etica ambientale ha mosso i suoi primi passi: nel libro che diede vita alla disciplina, “Silent Spring” (1962), Rachel Carson descrisse la capacità di stupirsi come la virtù ambientale per eccellenza, suggerendo di «tornare alla terra e contemplarne la bellezza per conoscere stupore e umiltà», aprendosi così a sollecitazione spirituale e a gioia. Un individuo che non sappia lasciarsi andare allo stupore guarderà alla natura come a un qualcosa di semplicemente presente, laddove la capacità di stupirsi è fonte di gratitudine per ciò che è stupefacente, e chi trova certe cose stupefacenti difficilmente vorrà distruggerle (si veda Sandler, 2007, p. 50): piuttosto avrà un atteggiamento di rispetto verso di esse. Oltre a essere una virtù in sé, pertanto, la capacità di stupirsi è anche in grado attivare di altre virtù (gratitudine, rispetto), il che la rende una virtù ambientale fondamentale.
È ovvio che la capacità di stupirsi potrebbe anche essere sviluppata ed esercitata a contatto con la natura “incontaminata” – in Death Valley, ad esempio. In effetti, il paradigma della natura incontaminata conta molto sul fatto che la natura selvaggia, con la sua magnificente potenza e intricata complessità, ci stupirà profondamente se solo saremo disposti a essere stupefatti da essa. Ma la regolarità delle fioriture, la metamorfosi di un seme in esemplare, le geometrie delle forme botaniche, il travaglio delle formiche nella terra, la prima vegetazione dopo l’inverno, un’ibridazione spontanea, la forza distruttiva dei venti e persino la morte improvvisa di una pianta – tutto ciò e molto altro può ispirare stupore di fronte alla natura anche in giardino. Lo farà in modo meno grandioso di come può farlo il paesaggio della Death Valley, forse, ma questo sarà compensato dal fatto che potrà farlo molto più spesso e più facilmente di quanto non possa quest’ultimo, solo raramente disponibile alla maggior parte delle persone, come il resto della natura “incontaminata”. Se si dà per buona l’idea che la capacità di stupirsi è una virtù ambientale fondamentale, il cui sviluppo ed esercizio dovrebbero essere stimolati il più possibile, allora i giardini dovrebbero esserne il metodo. Non che il contatto con la natura selvaggia e lo stupore che essa suscita debbano essere in qualche modo scoraggiati: ma a meno che essi non siano reiterati e frequenti, piuttosto che isolati ed episodici, il modo più affidabile per sviluppare ed esercitare tale virtù fino a renderla un tratto profondo del proprio modo di guardare al mondo sarà lavorare in giardino. Far ciò mette l’individuo nella condizione di stupirsi di fronte alla natura in qualsiasi momento e gli dona il tempo di farlo, anche in città. Lavorare in giardino, in effetti, non solo abilita l’individuo allo stupore, ma gli richiede di stupirsi continuamente, anche di fronte al più infame dei parassiti e la più indomabile delle erbacce: di mantenere un atteggiamento ravvicinato e inquisitivo, mai banalizzante, per evitare di sottostimare la complessità delle entità/sistemi/processi naturali con cui egli è coinvolto.
Marcello Di Paola*
*Insegna Filosofia Politica e Sviluppo Sostenibile all’Università LUISS Guido Carli di Roma