Il Genius loci di Hella Haasse
Per la rubrica “Racconti d’Ambiente” pubblichiamo oggi un estratto del libro “Genius Loci”, di Hella S. Haasse edito da Iperborea (pag. 64, euro 9.50).
Quando comprarono il terreno non era così sicura che il posto le piacesse realmente. C’era qualcosa nell’aria che la turbava. Benché affascinata, incantata, aveva come l’impressione di violare un luogo proibito. Sacer era la parola che senza volerlo le veniva in mente: sacro e maledetto insieme.
Doveva ammettere che la posizione – sul versante sudovest di una collina coperta di folta vegetazione, residuo di un bosco antichissimo – era un luogo ideale per una casa di campagna. Suo marito dichiarò fin dalla prima visita che avevano trovato quel che cercavano. Era lì che si sarebbero rifugiati ogni estate, lontani ben due frontiere dalla città dove vivevano.
La casa fu costruita nel giro di pochi mesi, sobria e funzionale per le stagioni calde. Un paio di volte fecero il viaggio dal loro paese per vedere come procedeva la costruzione. Mentre lui parlava dei dettagli tecnici con gli operai, lei girovagava nei dintorni, tuttora in preda alla sensazione ambigua cui non sapeva dare un nome, ma che la assaliva non appena lasciavano l’autostrada e si addentravano nel bosco.
Quando furono eretti i muri e posizionate le travi del tetto, varcò per la prima volta la soglia della futura abitazione. Dietro i vani spalancati di finestre e porte, e oltre lo scheletro di travi sopra la sua testa, vedeva gli alberi del bosco.
Le gemme si aprivano, una foschia verde aleggiava tra i rami. Nel bosco aveva raccolto dei narcisi selvatici, i primi fiori dell’anno, che lì crescevano in abbondanza. Depose il mazzetto sul pavimento di cemento.
Il marito non poté non sorridere di quel gesto: un sacrificio espiatorio al genius loci perché abbiamo invaso il suo territorio?
Impossibile raccontargli che a volte aveva come la sensazione di essere seguita da qualcuno sul sentiero nel bosco, o spiata tra i cespugli. Non c’era niente di minaccioso in quella presenza invisibile, non provava paura, solo una vaga inquietudine. Qualcuno aspettava qualcosa da lei, ma non sapeva cosa.
In quella prima estate le capitò più volte di rimanere sola per giorni interi, quando il marito, prima e dopo le ferie ufficiali, si assentava per impegni di lavoro. Era allora che si rendeva conto di quanto fosse isolata la loro casa. Certi giorni non vedeva altro essere umano che il postino, quando arrivava col suo furgone giallo a consegnare lettere e giornali. I corrispondenti si stupivano dello strano indirizzo: Le Puits Renaud, comune di Vy. Lei si costringeva a dedicarsi ad attività di routine, risistemava stanze già in ordine o lavorava in giardino, un terrapieno arricchito di fertile terriccio nero intorno alla casa, dove aveva piantato cespugli e fiori che si rifiutavano di crescere sul terreno povero del bosco.
Finché rimaneva in casa, o entro il cerchio formato da giardino e terrazza, si sentiva a suo perfetto agio, anche se ogni tanto le capitava di interrompere le sue attività per scrutare l’alta barriera di alberi oltre lo steccato. Lì iniziava il bosco. Sempre, anche quando c’era poco vento, il fogliame pareva mosso da un alito, si sentivano fruscii, schianti sommessi, canti di uccelli, tutta la gamma dal semplice cinguettio a misteriose serie di suoni. Un cuculo lanciava il suo richiamo, le tortore tubavano. Quel che più la affascinava era il gioco perennemente mutevole di luci e ombre sulle innumerevoli sfumature di verde, indescrivibili. Al calare della sera, quando il riflesso infuocato del sole basso tingeva di rosso i tronchi e bordava d’oro i rami, gli alberi che delimitavano il suo giardino formavano una rete luminosa contro l’ombra profonda del bosco.
Si accorgeva di essere più che mai consapevole dei propri stati d’animo e pensieri. Una mattina si svegliò con la sensazione che la sua vita fosse trascorsa senza che lei l’avesse realmente vissuta. Era ancora a letto; dalla finestra poteva vedere le chiome dalle forme bizzarre di alcuni pini marittimi che si stagliavano scuri contro il cielo del mattino. Vi riconosceva profili con il naso a punta e gli occhi sporgenti di marionette wayang: volti demoniaci agitati dal vento, che scuotevano la testa cambiando quasi impercettibilmente espressione. Squarci nel tetto di foglie attraverso i quali appariva il cielo luminoso erano come occhi lucenti, denti smaglianti.
Hella S. Haasse*
©1993, Hella S. Haasse (Genius loci); ©2011, iperborea S.r.l.
*Nata a Batavia, l’attuale Giacarta, nel 1918, è considerata una delle più interessanti scrittrici olandesi contemporanee. A vent’anni si trasferisce in Olanda dove studia letteratura e recitazione e pubblica Oeroeg, il suo primo romanzo di successo, impregnato di quel senso di lacerazione che le ha dato la Guerra di Secessione delle Indie olandesi, in quel tempo ancora in corso. Resa famosa dai suoi romanzi storici, come Vagando per una selva oscura e Il profumo di mandorle amare e per le sue opere legate ai ricordi d’infanzia nelle colonie olandesi, affronta nella sua vastissima opera anche temi più personali e intimi legati al mondo contemporaneo, come nellaFonte nascosta, in Di passaggio o nelle Vie dell’immaginazione.