Francesco Bonami: “L’arte ecologica non funziona”
Non una semplice campagna elettorale. Il countdown verso il 4 novembre, data in cui sapremo chi sarà il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, non è certo solo affare d’Oltreoceano. Il mondo intero brama di sapere se sarà Obama o Romney a sedere alla Casa Bianca. Il democratico afroamericano, che per qualcuno non ha mantenuto le promesse del 2008, ma insiste su un futuro “green” o il repubblicano di Detroit, che galvanizza i tycoons e vuole riaprire le concessioni petrolifere e potenziare il nucleare? Questa trepidante attesa è diventata una mostra, curata dal critico d’arte, naturalizzato americano, Francesco Bonami. Alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, Bonami ha dato forma all’esibizione antologica “For President”, su un’idea del direttore de La Stampa, Mario Calabresi. Un viaggio nel racconto delle elezioni, viste con gli occhi dei media che in America sono ring fondamentale del dibattito politico e dello scontro umano tra i candidati.
Dice Bonami che “di solito è la cultura a chiedere aiuto ai politici. Negli Stati Uniti, quando c’è da diventare presidenti, sono i concorrenti a chiedere soccorso alla cultura”. Attori, divi, volti celeberrimi si spendono per tirare la volata al candidato di turno. L’arte al servizio del futuro governo. Un legame che si rinsalda sempre di più. Non lo stesso si può dire del connubio tra arte e natura, e dei problemi dell’ambiente. Anche se a giudizio del critico, un’opera artistica che si faccia denuncia a tutti i costi “non fa nient’altro che un cattivo servizio al suo fruitore”.
D) Le foto della Magnum, la più famosa agenzia di fotogiornalismo al mondo, e qualche opera di dimensioni giganti fanno da scheletro all’esposizione. Perché questa mostra sulle cose americane piace così tanto al pubblico italiano?
R) Le esibizioni d’arte contemporanea, di solito, hanno un ritmo di racconto frammentato, oscuro. La nostra è volutamente semplice, con un tema sviluppato chiaramente, che ha l’obiettivo di farci entrare dentro un mondo che conosciamo, magari non alla perfezione, ma con cui abbiamo familiarità. Visitando “For President” non ci troviamo spiazzati, anche se magari non conosciamo a memoria le facce o l’ordine in cui si sono avvicendati i presidenti degli Stati Uniti. Il visitatore si avventura in medias res, prendendo contatto con la galassia Obama, e poi comincia a trovare nuovi sensi man mano che procede. A fare da filo rosso alle foto e alle pagine di giornale, ci sono tre grandi opere d’arte, quella di Vezzoli, di Horowitz e Muntadas che danno peso a tutto l’impianto narrativo.
D) L’impressione, visitandola, è che dagli anni ’60 a oggi quasi nulla sia cambiato. Le elezioni americane sono, ieri come oggi, uno dei grandi appuntamenti del mondo, che si consumano prima di tutto sullo schermo televisivo.
R) L’America è come un film western: sempre uguale, ma sempre diversi i protagonisti. La grandezza di questo stato è l’eccezionale capacità di aver creato una gabbia narrativa che resta la stessa anche se i volti e le storie umane cambiano. C’è una sceneggiatura strutturata che scandisce le elezioni in Usa: un inizio, un momento centrale che parte da un evento che mette in crisi il prescelto, il quale però si prende la sua rivalsa e alla fine vince, sconfiggendo l’avversario, di cui comunque seguiamo vita morte e miracoli senza troppi pregiudizi.
D) Perché secondo lei l’arte è così attratta dalla politica, soprattutto quella che governa le sorti del mondo, mentre ha meno collegamenti con altri problemi cruciali del pianeta, per esempio l’ecologia?
R) L’arte non ha l’obiettivo di dare soluzioni, con le sue denunce. Mostra le cose. L’”arte ecologica” non funziona per definizione, perché vuole avere lo scopo di cambiare qualcosa, mentre dovrebbe solo essere un modo per raccontare qualcosa che succede. Se l’arte pretende di assolvere a questo ruolo diventa cattiva arte”.
D) Non lo stesso si può dire per la letteratura, o per il cinema, dove abbondano i tentativi di ritrarre i grandi temi dell’ambiente. Pensiamo alla letteratura apocalittica, ai tantissimi film millenaristici sulle catastrofi naturali.
R) Letteratura e cinema si dipanano nel tempo, l’arte è uno spot, l’arte visiva deve essere assorbita in un momento, deve essere percepita in un momento. Celebra un istante, ha un rapporto con chi la vede, crea un’emozione fulminea, non una narrazione. È una debolezza e una specificità sua. Avviene nello spazio simbolico della galleria, non nello spazio della nostra testa. La denuncia non può essere monumento a un tema, ma semmai a degli eventi che sono accaduti.
D) Dobbiamo dunque rinunciare a credere che un giorno, oltre a fare vincere le elezioni americane, gli artisti si spenderanno anche per la sensibilizzazione ecologica nei confronti del pianeta?
R) Posso annunciarvi in anteprima che, dopo For President, ho intenzione di provare a mettere in piedi una mostra narrativa sul Pianeta a Milano, nel nuovo spazio del museo culturale Ansaldo di Chiepperfield.
D) Quando inaugurerà?
R) Spero la primavera prossima.
Appuntamento ad aprile, dunque, per la seconda parte dell’intervista…
Letizia Tortello
Sul tema arte & ambiente leggi anche: Andrea Gandiglio, “Recupero di materia: il nuovo mito nell’arte e nel design“, Arte Sera, Settembre – Ottobre 2012