Davide Longo: camminare tra letteratura e paesaggio
Davide Longo è scrittore, regista di documentari, autore di testi teatrali e autore radiofonico. Nei suoi libri, la montagna è una presenza quasi costante: un ambiente “selvatico, spopolato, poco frequentato”, che proprio da queste caratteristiche trae il suo fascino. Ha esordito nel 2001 con il romanzo “Un mattino a Irgalem“, con il quale ha vinto il Premio Grinzane opera prima e il Premio Via Po. Nel 2004 è uscito il suo secondo romanzo “Il Mangiatore di Pietre“, Premio Città di Bergamo e Premio Viadana. Per Einaudi l’antologia “Racconti di Montagna” (2007). Vive a Torino dove insegna scrittura presso la Scuola Holden. Nella sua casa in Val Varaita (Cuneo) organizza residenze letterarie, in cui piccoli gruppi di persone vengono ospitati per due o tre giorni di scrittura e trekking. Oggi e domani sarà al Festivaletteratura di Mantova, dove reinterpreterà l’Ariosto nelle stanze di Palazzo Te.
D) Longo, nei suoi libri è quasi sempre presente la montagna. Qual è il suo rapporto con l’ambiente in quota?
R) È un rapporto molto stretto. Ho una casa sulla montagna cuneese, in Val Varaita, vado in montagna da quando avevo quattro anni. È però una montagna molto diversa da quella turistica di Trentino e Valle d’Aosta. Selvatica, spopolata, poco frequentata, ma proprio per questo mi affascina. In montagna vado a scrivere, a lavorare, e nella mia casa organizzo anche corsi di scrittura abbinati a trekking letterari: mi piace mescolare letteratura e paesaggio.
D) A proposito di trekking, lei terrà anche una camminata spirituale in occasione di Torino Spiritualità. Cosa le piace del camminare?
R) Camminare è una forma di meditazione molto semplice e accessibile a tutti. Mi piace portare le persone a camminare per rapportarsi con il paesaggio a una velocità diversa, più lenta . Ogni paesaggio è come una persona diversa: così la montagna, per esempio, ha un’infinità di sfumature.
D) Spesso però siamo abituati a usare solo la parola montagna per indicare quel tipo di paesaggio. Perché secondo lei?
R) Perché gli italiani non sono un popolo molto legato alla montagna, che associano principalmente a sentimenti come la solitudine, la noia, la fatica. I popoli nordici, al contrario, che non hanno molta montagna sul loro territorio, la amano. Quando vado a camminare, sui sentieri incontro sempre tanti tedeschi e olandesi e pochi italiani.
D) Ha mai raccontato questi trekking in un racconto o un romanzo?
R) No, non ho mai raccontato questi trekking lunghi in un libro. Bisognerebbe trovare un modo appropriato, letterario, per farlo, e per il momento non mi è ancora venuto in mente.
D) Lei è nato a Carmagnola, un paese originariamente agricolo. Che rapporto ha con quel mondo?
R) Come gran parte delle famiglie di Carmagnola, anche la mia famiglia è per tradizione una famiglia contadina. Carmagnola è stata fino agli anni Sessanta un piccolo centro dedito all’agricoltura e al piccolo artigianato. Poi, quando è arrivata la fonderia Fiat le cose sono cambiate. Prima era un posto in cui uscendo di casa si trovavano subito i campi e in parte è ancora così. Il paesaggio in cui sono cresciuto è una campagna molto piatta, molto calda in estate, umida e nebbiosa in inverno. Ma non ho mai parlato di questo paesaggio nei miei romanzi, preferendo la montagna e la collina: Carmagnola è anche vicina alle Langhe e al Roero, dove c’erano i miei miti Fenoglio e Pavese, che hanno raccontato quel territorio.
D) In passato ha collaborato anche con Slow Food. Che rapporto c’era tra l’associazione e i luoghi in cui è nata?
R) Io ho fatto il liceo a Bra, e molti miei compagni di scuola lavorano adesso in Slow Food. Pur non avendo partecipato al movimento da cui poi nacque l’associazione, ricordo che per quei luoghi fu un fenomeno esaltante. E’ stata una delle poche organizzazioni in Italia in cui i giovani hanno rivestito ruoli anche molto importanti. Penso che anche questa sia stata la sua forza.
Veronica Ulivieri