Dario Salvatori: basta falsi miti e testimonial impegnati
“Prendiamo le distanze dai falsi miti. I testimonial di cause ambientali non sono veri artisti e non convincono nessuno. O vali, o non ha senso che tu ti nasconda dietro un motivo nobile per farti ricordare”. L’energia, la verve polemica e la passione sono quelle di un eterno ragazzo. L’esperienza l’ha portato a calcare molti palchi, dalla tv, alla radio, alle scene della musica, sempre sotto il nome del jazz. E ora, a 61 anni, il poliedrico Dario Salvatori coglie una nuova sfida: guiderà il Festival Jazz di Torino, in programma dal 27 aprile al 1 maggio.
D) Dario, perché secondo lei non ha senso che cantanti e musicisti si facciano promotori di una coscienza ecologista? Potrebbero avere una grande influenza, soprattutto sui giovani…
R) Certo, l’audience è il migliore veicolo per le cause civili, ma io sono molto diffidente verso tutta questa macchina dell’endorsement della superstar di turno…
D) Ci spieghi meglio.
R) Finire sui giornali con mezzi non-artistici è un trucco troppo semplice. Di solito, lo fa chi non ha le qualità per sfondare in quel campo, e allora ricorre alle frecce nell’arco del testimonial, che comunque fa sempre presa sul pubblico.
D) Ci fa qualche nome di artista “impegnato” che non la convince?
R) Ne farò due opposti. Prendiamo Bob Geldof: un musicista come lui avrebbe forse la possibilità di strimpellare in un pub inglese di terza categoria, ma per il suo impegno civile passa per grande star del rock. Una leggenda della storia della musica, un uomo che ha dedicato tutta la sua arte alla causa dei bambini africani e a combattere l’Hiv nel continente nero. Che ha fatto per meritarsi il successo? Nulla! Ci sono troppi cialtroni in circolazione, che sotto l’ombra dell’impegno vogliono avere il plauso non con mezzi artistici. E’ semplice e non costa niente strappare un battimani perché ti sei dimostrato “buono”. Ora veniamo al secondo esempio: il talento totale, puro, che l’Italia ha regalato al mondo, il pianista Stefano Bollani. L’avrò visto 200 volte sul palco e non l’ho mai sentito far riferimento a nessuna causa sociale. Ma non perché sia un qualunquista, piuttosto perché non ne ha bisogno. Dovremmo prendere le distanze dai falsi miti.
D) Il sistema del mito da emulare, però, ha sempre funzionato. Nella sua visione nichilistica non c’è spazio per un cambiamento di mentalità. I concerti dei Radiohead, ad esempio, tentano di convertire il mondo delle produzioni musicali verso un minor impatto ambientale. Non sarebbe opportuno diffondere quest’idea?
R) I concerti a impatto zero se li possono permettere le band giovanili che radunano 100 persone sotto il palco. Ritengo improbabile che il prossimo megatour di Madonna potremo mai vederlo in qualità di concerto “ecologista”. E poi la musica non deve per forza abbracciare concetti che non le appartengono per definirsi “ecologica”. Mi sono sempre occupato di jazz, lì sì che c’è la passione, la spontaneità della natura.
D) Al festival di Torino organizzerete jam sessions nei teatri verdi della città, come i parchi o sul fiume?
R) Sì, abbiamo un programma che va dalle piazze principali del centro, ai Murazzi, al Valentino, alle rive del Po. Ovunque sarà improvvisazione jazzistica. Conosco e amo Torino da molti anni, credo che queste suggestioni e una certa vita notturna si possano vivere sono lì.
D) Per questa edizione zero, collocata in un periodo un po’ azzardato (fine aprile non è il momento più propizio per invitare i grandi cantanti americani a suonare) non temete la concorrenza delle altre grandi manifestazioni, dall’Umbria Jazz ai piccoli grandi festival della Costa Azzurra?
R) “Competizione è una parola grossa, noi non vogliamo essere arroganti e porci subito in contrasto con altre manifestazioni che popolano i cartelloni internazionali da decine di anni. Contiamo su un buon programma, sul vantaggio di un ponte lungo, che invoglierà i turisti ad andare a Torino e su molte sorprese legate al jazz, quali ad esempio il suo abbinamento culturale con il cibo e la letteratura. Coinvolgeremo gli appassionati, i collezionisti e il grande pubblico. Come ho già detto, il jazz è passione irrefrenabile, non può non acchiappare. E’ una lezione che ho imparato da Renzo Arbore, quando ero con lui ragazzino a “Bandiera Gialla”, e in tutte le esperienze successive, come “Quelli della notte”: lui improvvisava per minuti interi, dietro al piccolo schermo. Altro che i cabarettisti di oggi, a partire da Fiorello, genio assoluto s’intende, ma con 8 autori al seguito che scrivono per lui i testi. Non parliamo poi di Zelig o trasmissioni simili, dove ogni minimo passo è studiato da uno sceneggiatore. In questo mondo conta il talento, solo il talento!
Letizia Tortello