“Siamo macchine fatte per camminare”. Intervista a Daniele Galliano
Case di ringhiera, sobborghi di città dimenticati eppure pulsanti. Gente senza volto protagonista di strade in fermento. E’ un bagno di vita e di folla il mondo che palpita dalle tele di Daniele Galliano. Barba da asceta e occhi di ghiaccio, pinerolese, è uno degli artisti italiani più affermati al mondo della generazione nata negli anni ’60.
Tra i suoi soggetti, scorci di metropoli che sprizzano umanità, inquadrature che sembrano istantanee fotografiche. E un gran bisogno di natura, “il luogo ideale per l’uomo”. Tanto da sognare città ciclabili “per davvero” e cortili con le galline. Chissà cosa sarebbero i centri urbani se affidassimo agli artisti “amanti del verde” (che di estetica se ne intendono) la loro rivoluzione d’immagine.
D) Daniele, come artista viaggi spesso per il mondo, per mettere in mostra le tue opere (l’ultima esposizione l’ha inaugurata la scorsa settimana all’Aia, in Olanda, N.d.R.). Non hai mai nostalgia delle montagne in cui sei nato e cresciuto?
R) Moltissima. Ci sono due ambienti in cui posso vivere: la città, approdo necessario per sopravvivere con il lavoro (solo lì coltivi contatti e rapporti professionali) e la natura. Prima di sposarmi riuscivo a conciliare i due luoghi, facevo il pendolare. Metà settimana nel verde, metà nel cemento. Pinerolo, il mio luogo d’origine, vive proiettata nell’800. Torino invece è sperimentale. Facendo su e giù, riuscivo a metabolizzare nel viaggio questi contrasti, ero un po’ paesano, portatore di una mentalità arcaica, un po’ cittadino trapiantato, entusiasta del trambusto metropolitano.
D) La scelta del luogo in cui vivere, per un artista, è legata al genius loci. Qual è il clima di Torino, la tua città d’adozione?
R) La città della Mole è una fanta-città per creativi. Puoi sempre contare sulla frequentazione di persone che sono eccellenze in discipline diverse. Ha tutto un mondo che le ruota attorno, anche di artisti di passaggio. E poi, sprigiona un’energia strana. Peccato per l’inquinamento…
D) Il capoluogo piemontese risulta infatti tra i centri più inquinati d’Europa…
R) Lo so, altro che New York, in cui fai chilometri a piedi e, nonostante i tir su Broadway, sei fresco come una rosa. Faccio un esempio: quest’inverno ho avuto bronchite e raffreddore per 3 mesi. Non è la prima volta che mi succede. Abitando in centro, dove l’inquinamento si sente se ti muovi a piedi o in bici, è facile porsi la domanda se le malattie respiratorie dipendano dalle polveri sottili. Bisognerebbe fare un giro per farmacie per capire se è un’ipotesi azzardata, ma credo di no. Mi sento torinese, ma c’è un però: guardo la metropoli con gli occhi stupiti di chi è “sempre straniero”, come diceva Buzzati.
D) In che quartiere vivi?
R) Porta Palazzo, da sempre approdo naturale degli immigrati di ogni paese. Dal sud Italia 70 anni fa agli extracomunitari oggi. Casa mia è in piazza Emanuele Filiberto, se scendi giù ci trovi tutto il mondo, dai cinesi ai marocchini. Grande ricchezza, nonostante le potenziali problematiche di accoglienza e integrazione.
D) Come soddisfi il tuo bisogno di natura?
R) Amo andare in mountain bike. In generale, la bici è il mio mezzo di trasporto ideale. La condizione naturale dell’uomo è il movimento. Siamo macchine fatte per camminare. E’ come una pratica spirituale, la cosa basilare per l’evoluzione interiore. Io vivo muovendomi, ma su questo fronte Torino ha qualche pecca. Ho inaugurato una mostra in Olanda sabato 12, all’Aia. Ho visto piste ciclabili dappertutto, per ogni senso di marcia, e multe che piovono se infrangi le regole. Da noi, se vuoi sopravvivere, è la regola farsi strada sui marciapiedi, come un pirata. Comunque, il luogo ideale per star bene è la natura. La città è solo un adattamento necessario, un compromesso obbligato per l’uomo, oltre ad essere un posto in cui si trasmettono microbi non proprio benefici per la sua salute.
D) Che ne pensi dei flash mob artistici, tipo le guerriglie urbane “green”, piccoli angoli di verde incolto tra il cemento, come vorrebbe qualche visionario architetto di oggi per ovviare alla carenza di natura?
R) Sono d’accordo. Tempo fa avevo proposto addirittura di ripristinare i cortili con le galline. Occorre umanizzare le città il più possibile, come insegnava Friedensreich Hundertwasser. Tanto la natura vince sempre.
Letizia Tortello