D-Orbit: la tecnologia italiana contro i detriti spaziali
Oggi nello spazio ci sono circa 6.000 satelliti: di questi, solo 900 funzionano, mentre gli altri, arrivati a fine vita, sono arenati intorno alla Terra. Mentre la discussione sulla crescente colonizzazione dello spazio va avanti, contrapponendo chi è a favore dei satelliti a chi vorrebbe la sospensione totale dei lanci, bisogna ricordare che gran parte delle tecnologie che usiamo – dai telefoni cellulari al navigatore GPS, fino all’antifurto satellitare delle auto – viene da lassù. Dunque, che fare? Accanto alle due scelte alternative – rinunciare alle tecnologie o rinunciare a proteggere ciò che sta oltre l’atmosfera – Luca Rossettini, ingegnere aerospaziale fondatore di D-Orbit, ha trovato una terza via: portare la sostenibilità nello spazio.
La sua azienda, nata nel 2011 e vincitrice di numerosi premi nazionali e internazionali, ha inventato un dispositivo che permette di richiamare a Terra in modo veloce, sicuro ed economico i satelliti alla fine della missione, evitando la proliferazione dei detriti spaziali e aprendo anzi prospettive interessanti per un loro recupero, in futuro, direttamente in orbita.
“Oggi stiamo rendendo lo spazio inquinato, così come abbiamo già fatto con i fiumi e i mari. Di fronte a questa situazione, mi sono chiesto se non era possibile applicare allo spazio i principi di sostenibilità strategica che usiamo sulla Terra. Io sono tra i fondatori di The Natural Step Italia, organizzazione che sostiene imprese e comunità nella transizione verso modelli più sostenibili. Applicando allo spazio i principi alla base dell’approccio di The Natural Step, è nato D-Orbit”, racconta Rossettini.
La lampadina si accende nel 2008, dopo il dottorato in Ingegneria e un master in Sostenibilità strategica, e prende forma negli Stati Uniti, dove Rossettini arriva grazie al programma Fullbright BEST. “La rimozione dei rifiuti spaziali è un tema che preoccupa tutti coloro che lavorano nel settore dello Spazio. Grazie a un tirocinio alla NASA, ho avuto modo di capire quali erano i punti da approfondire”. Così, nasce il progetto di una tecnologia in grado di riportare un satellite “a casa”, gestibile dalla Terra. Messo insieme un team di alto livello – “ci sono anche italiani tornati nel nostro Paese per lavorare a D-Orbit” – l’azienda è nata ufficialmente nel 2011. “Nel 2012 abbiamo testato il primo prototipo del motore, mentre l’anno scorso abbiamo messo a punto il cervello che lo comanda e lo abbiamo lanciato nello spazio. Adesso stiamo lavorando per la prima missione vera e propria: nel 2015 sarà lanciato il primo satellite con a bordo il nostro dispositivo”. Di pari passo, alle sedi italiane di D-Orbit, si sono aggiunte quella statunitense e, ultima, quella portoghese.
Il dispositivo D-Orbit, composto da un modulo di telecomunicazione abbinato a un motore, può offrire una soluzione a queste criticità. “La tecnologia viene installata sul satellite prima del lancio in orbita, ma è indipendente da esso. Arrivato a destinazione, il satellite fa il suo lavoro, mentre il nostro dispositivo rimane dormiente. Fino a quando il satellite giunge a fine vita o ha un guasto: a quel punto, D-Orbit viene ‘svegliato’ da Terra e guida lo spostamento del satellite”. Ci sono due possibilità, in base alla sua posizione: “Se è vicino a Terra, il nostro motore lo pone in una traiettoria controllata per il suo rientro, che avviene velocemente e in modo sicuro. Se invece il satellite si trova lontano dalla Terra, attraverso D-Orbit può essere temporaneamente parcheggiato in un’orbita-cimitero”, in attesa che in futuro sia possibile riciclarlo. Su questa prospettiva, Rossettini non ha dubbi: “Non ha senso bruciare la materia: è lo stesso concetto per cui si preferisce il riciclo all’inceneritore. Visto l’alto costo di una missione, è molto meglio recuperare le parti che funzionano direttamente in orbita, piuttosto che vedere un satellite disintegrarsi e bruciare a causa dell’impatto con l’atmosfera”. L’altro progetto a cui sta lavorando l’azienda è lo sviluppo di un de-orbiting kit: “In futuro sarà possibile mandare nello spazio un veicolo con a bordo decine di nostri dispositivi, che saranno installati su satelliti morti per il loro recupero”.
Ogni giorno, almeno un rifiuto spaziale cade sulla Terra e, con l’aumento dei detriti spaziali, crescono i rischi di danni a persone o cose, ma anche all’ambiente. “I satelliti sono alimentati con un carburante molto tossico e pericoloso: l’idrozina. Se dovesse rimanere nei serbatoi quando il satellite cade, potrebbe contaminare il terreno”. E i rischi vengono anche dai satelliti russi: “A bordo hanno reattori nucleari per produrre energia. Negli anni ’70, uno cadde su una foresta canadese e contaminò l’area”. Per rispondere a questi pericoli ed evitare la proliferazione dei rifiuti, oggi la NASA e l’ESA (Agenzia spaziale europea) progettano missioni per recuperare i satelliti, ma le operazioni sono costose e inefficienti, visto che un mezzo lanciato nello spazio riesce a recuperare un solo satellite. Per non parlare dei problemi politici e legali: una missione europea, per esempio, non può toccare un satellite russo, e viceversa.
Ai vantaggi ambientali, si accompagnano quelli economici per le aziende che progettano le missioni: “Si riducono i costi per far rientrare il satellite, che rimane in orbita più a lungo. In caso di fallimento del lancio, D-Orbit può aiutare a posizionare il satellite. Inoltre, il dispositivo mette al riparo il proprietario da eventuali danni causati dal satellite quando questo non funziona più”.
D-Orbit è stato sviluppato grazie agli investimenti di alcuni venture capitalist, per un totale di 1,5 milioni. “In questa fase stiamo raccogliendo altri 7 milioni per commercializzare il prodotto. Il team è composto da 15 persone, ma dopo aver raccolto gli investimenti faremo altre assunzioni”, promette Rossettini. I premi collezionati sono già numerosi: tra i tanti riconoscimenti, D-Orbit è stata finalista alla Mind the Bridge Business Plan Competition ed è stata premiata al Red Herring Global tra le 100 aziende al mondo più innovative e promettenti. In attesa del lancio sul mercato, è già arrivata la legittimazione dell’ESA, che nel 2013 ha condotto uno studio indipendente sulla tecnologia, dimostrando come essa sia il modo più efficiente per rimuovere i satelliti a fine vita.
Veronica Ulivieri