Cleto, il comune calabrese rinato grazie a un Festival culturale
C’è chi porta dal pollaio 50 uova, chi regala qualche chilo di marmellata o una cassetta di patate, poi ci sono quelli che aprono casa per ospitare un’artista o danno una mano a montare il palco. Prodotti dei campi, lavoro, ospitalità ma pure offerte in denaro per accendere i riflettori su Cleto. Siamo in provincia di Cosenza, regione Calabria, 1.268 anime che nel mese di agosto si danno da fare per rendere bello e accogliente il paese per Cleto Festival: tre giorni di incontri, musica, cultura e soprattutto socializzazione con l’obiettivo di far lievitare il turismo; non quello di massa, non quello del mordi e fuggi, ma di chi ama i centri fuori dalle grandi rotte ed è ancora convinto che “piccolo è bello“. Porte aperte dunque ai vacanzieri, ma rispettando ritmi e sensibilità locali. E nel Festival si affrontano temi seri, non per forza facili e abbordabili a tutti i costi. Nell’ultima edizione ci si è concentrati su una parola sdoppiata particolarmente densa di significati: «In- Differenza», nel rapporto tra l’umano, la natura e la società.
Il mix di ingredienti di questa ricetta c’è la spiega Franco Roppo Valente, dell’Associazione culturale La Piazza, che dal 2010 monta lo striscione del festival: “Sostenibilità ambientale, tradizioni e antimafia sono la sostanza dei 3 giorni di Festival. Agli ospiti offriamo il Cialecca, il pane appena sfornato con aglio e olio”. Un segno di accoglienza, ma anche di attenzione all’economia locale, come sottolinea Franco: “Puntiamo alla valorizzazione dell’agricoltura, in particolare l’olivicultura, con il recupero di un bene tradizionale. E’ un’offerta veramente a chilometro zero: la farina per il pane è quella di Isola Capo Rizzuto ottenuta nei terreni confiscati alla criminalità organizzata e gestiti dall’associazione Libera. Con la parte gastronomica cerchiamo di valorizzare le aziende locali con un commercio equo e solidale che ci porta ad un menù socialmente corretto“.
In questi anni di crisi economica i piccoli e grandi eventi nel territorio sono una boccata di ossigeno importante per i protagonisti di questa economia informale, che riesce a resistere grazie a feste, sagre, festival. A Cleto però si va oltre il dato economico, pur importante, e in quei tre giorni si crea una piccola comunità. Il festival ha mobilitato energie sociali. All’inizio l’idea dell’invasione di “stranieri” non era molto gradita: “C’era un po’ di diffidenza, non si era abituati a tanta gente, ma si è superata con il tempo – sottolinea Franco – Oggi tutta la comunità da una mano, un paese totalmente dimenticato ha avuto e vive un momento importante di rilancio sociale e culturale“. Si è avviato anche il motore del turismo, lavorano i B&B e gli agriturismo, con villeggianti che apprezzano il festival, ma poi si trattengono anche una settimana perché vicino c’è il mare, si spende poco e si mangia bene. E poi il 25 aprile si organizza anche il trekking urbano, un escursionismo facile, per valorizzare panorami e monumenti storici e naturali.
Questo festival è stata la miccia che ha smosso le acque sociali del paese e oggi la sede de La Piazza è spesso aperta: “C’è una piccola biblioteca, viene frequentata da persone della terza età che con il lavoro manuale producono manufatti artigianali. Nell’associazione siamo 10 persone, ma senza l’aiuto della comunità non saremmo mai riusciti a fare nulla“.
Tanto lavoro, buoni risultati e tutto senza un centesimo di finanziamento pubblico, contrariamente allo stereotipo del Sud drogato di assistenzialismo. “Non è che diciamo no a priori, ma spesso significa entrare in discorsi di affiliazione, legati alle elezioni, a conoscenze e favoritismi che io non ho cercato neanche per il lavoro“. Come dire che a certe condizioni è meglio stare a debita distanza dai finanziamenti regionali… La filosofia di Franco e compagni è chiarissima. “Non abbiamo la presunzione che con un festival si possano cambiare le cose, ma aver fatto parlare di Cleto ci inorgoglisce“.
Gian Basilio Nieddu