“Chi va veloce non vede nulla”. Viaggio lento nella Calabria greca
Pubblichiamo la seconda parte delle “Impressioni di Viaggio” di Veronica Ulivieri sulla Calabria grecanica. E’possibile leggere la prima parte in esclusiva nel canale Green News di LaStampa.it.
Il viaggio lento, di nicchia, a basso impatto ambientale è stato il cardine del rilancio del turismo nella Calabria greca. Ispirandosi alla cultura del posto – “Pis trechi glìgora de thorì tìpote”, Chi va veloce non vede nulla, recita un proverbio del luogo – ma anche alle strade percorse nel 1847 da Edward Lear, viaggiatore inglese che si avventurò alla scoperta dell’Aspromonte a piedi, con un cavallo che trasportava i bagagli e una guida, ospitato dalle persone del luogo.
Ancora oggi, il percorso forse più completo per conoscere l’area grecanica è il “sentiero dell’inglese”: un cammino di otto giorni che tocca i borghi più interessanti e attraversa i paesaggi più suggestivi. L’inizio è a Pentedattilo, che appare in tutto il suo fascino arcaico e misterioso dietro l’ultima curva della strada tortuosa. “Selvagge sommità di pietra spuntano nell’aria, aride e chiaramente definite in forma (come dice il nome) di una mano gigantesca contro il cielo, le case di Pentedattilo sono incuneate all’interno delle spaccature e dei crepacci di questa piramide spaventosamente selvaggia”, scriveva Lear nel suo “Diario di un viaggio a piedi”. Abbandonato nei primi anni Cinquanta perché dichiarato a rischio frana, oggi è al centro di un lento processo di rivalorizzazione, che va avanti da alcuni decenni, facilitato anche dal fatto che gli attestati di inagibilità non si sono mai trovati. Sono state riaperte alcune botteghe artigiane, e oggi contattando l’associazione Pro Pentedattilo è anche possibile soggiornare nelle abitazioni ristrutturate.
Il viaggio continua verso Bagaladi, la città dell’olio, circondata da olivi secolari e ancora oggi famosa per la sua produzione olearia. In un vecchio frantoio semindustriale, utilizzato in passato anche per l’estrazione dell’olio essenziale di bergamotto e la filatura della seta, la cooperativa Grecale gestisce la Porta del Parco nazionale dell’Aspromonte e offre ristoro ai visitatori. “Ogni anno recuperiamo un antico mestiere andato perduto. L’ultimo è l’allevamento dei bachi da seta, un tempo attività tipica dell’area. I bruchi si cibano solo di foglie di gelso fresche, mangiano dalle tre alle quattro volte al giorno. È un lavoro impegnativo, che si regge tutto solo sul volontariato”, racconta Danilo dando da mangiare agli animaletti.
Passando per la fiumara costellata di oleandri e nasili – le aree del letto del fiume coltivate a orto - il percorso sale a Gallicianò, “il paese più greco d’Italia”. “È stato l’ultimo paese dell’area a uscire dall’isolamento, e ha conservato una sua identità molto forte, legata alla lingua e alla tradizione dei tamburelli”, racconta Peppe Battaglia, guida ambientale della cooperativa Naturaliter. La strada asfaltata che collega il borgo a Condofuri, a valle, è stata completata solo nel 2001. Mimmolino Nucera accompagna i visitatori nelle viuzze che salgono fino alla chiesetta ortodossa Panaghìa tis Elladas (Madonna dei Greci), realizzata in pietra nello stile del luogo e aperta al culto nel 1999, e poi, con il suono dei campanacci delle capre al pascolo negli orecchi, al museo delle tradizioni. “Fino a pochi decenni fa qui si filavano, oltre alla lana, anche la ginestra e la canapa”, dice Nucera mostrando coperte e tappeti con motivi tipici della cultura grecanica. Molti altri oggetti sono legati all’allevamento delle capre, da sempre tradizionale in questi luoghi. “Gli otri in pelle erano usati per fabbricare zampogne, ma anche per trasportare olio e vino. Per le ricotte si usavano forme in vimini intrecciati, mentre le figurine femminili intarsiate nel legno, chiamate musulupare, servivano a fabbricare il musulupu, un formaggio a pasta molle”.
Da Gallicianò il sentiero si dirige verso Bova, la capitale culturale – e anche politica ed economica in passato – dei greci di Calabria. Bova è ancora chiamata I Chora, la città, inserita tra i Borghi più belli d’Italia. Ci si può arrampicare per le stradine che salgono fino al santuario di San Leo, monaco basiliano vissuto nell’XI secolo in queste terre, e poi verso i resti del castello normanno, dove la vista spazia fino all’Etna e alle rocce di Pentedattilo. Come il resto dell’area, il paese è ancora crocevia di tradizioni pagane, bizantine e cristiane: un esempio sono le figure femminili in rami d’olivo addobbate con fiori e frutta e portate in processione la domenica delle Palme. “Sono chiamate pupazze, madame o Persefoni. Sono la trasposizione cristiana del mito di Persefone, qui adorata fin dall’antichità”, racconta Peppe Battaglia. Prima di toccare Palizzi, paese che sembra scolpito nella roccia famoso per il vino IGT, e poi terminare a Staiti, il Sentiero dell’Inglese porta a Roghudi vecchio. Nel borgo abbandonato all’inizio degli anni Settanta a causa di un’alluvione, aggrappato al crinale di uno sperone di roccia che emerge dalla fiumara Amendolea, si vive il silenzio. Nelle case con le porte aperte, i vetri rotti, rimangono frammenti di vita contadina e i primi accenni di una modernità che stava faticosamente arrivando al momento dell’abbandono. In estate, Roghudi è una tappa fissa di Paleariza, il festival che si svolge ogni anno in agosto in tutta l’area grecanica, coniugando un’offerta culturale internazionale di qualità con il trekking e la scoperta della gastronomia locale. Se si arriva in anticipo rispetto agli spettacoli si può scendere dal paese fino al letto della fiumara, riposarsi sui “sassi che sembrano pani” e rigenerare i piedi stanchi nelle acque gelate dell’Amendolea. La roccia e l’acqua che hanno modellato la storia e il paesaggio dell’Aspromonte greco.
Veronica Ulivieri
Leggi la guida alla Calabria greca del consorzio turistico Pucambù