Carlot-ta: nel nuovo album la montagna si veste di immaginario pop folk
L’ispirazione è venuta dalla Valsesia, Alpi occidentali piemontesi, ma poi l’immaginazione, la composizione e la rielaborazione digitale l’hanno trasformata in qualcos’altro. Una montagna mitica, intima, romantica e idealizzata concentrata negli undici pezzi che compongono “Songs of Mountain Stream”, il secondo album di Carlotta Sillano, in arte Carlot-ta, in uscita oggi, 26 settembre. La cantautrice, che presto partirà per un tour di presentazione dell’album, racconta a Greenews.info la genesi dell’album, a partire dal suo rapporto con l’ambiente montano e da quel filtro che – forse inevitabilmente – ha dovuto porre tra sé è il paesaggio per idealizzarlo e trasformarlo in un prodotto artistico. Vercellese, 24 anni, Carlot-ta è cantante, pianista e polistrumentista, compone canzoni da sempre. A maggio scorso è stata invitata a esibirsi al Liverpool Sound City, uno dei più grandi festival musicali inglesi; il mese successivo durante il Festival dei Due Mondi di Spoleto ha ricevuto, da una giuria presieduta da Gino Paoli, il Premio SIAE alla Creatività, dedicato ai giovani autori nell’ambito della musica, del teatro, della danza. “Songs of Mountain Stream”, prodotto da Rob Ellis (già al lavoro con PJ Harvey, Anna Calvi, Marianne Faithfull, Placebo), arriva dopo l’album d’esordio “Make Me a Picture of the Sun”, insignito del Premio Ciampi – Città di Livorno e della Targa M.E.I. Supersounds come miglior debutto discografico del 2011, e viene segnalato per lo stesso motivo tra i cinque candidati alla Targa Tenco.
D) Carlotta, oggi esce il tuo nuovo album, “Song of Mountain Stream”. Al di là del titolo, in che modo la montagna è presente nel tuo disco?
R) Il disco è ambientato in montagna. Sono molto legata al territorio alpino, in particolare alla Valsesia, nelle Alpi occidentali. L’ispirazione proviene da quel posto specifico e reale, che poi però diventa qualcos’altro attraverso la scrittura della canzone. Il mio non vuole essere un esperimento di etno-musicologia: non sono andata a riprendere la musica tradizionale delle Alpi, ma attraverso un pop folk contemporaneo ho voluto raccontare il mio legame reale con la montagna, idealizzandolo allo stesso tempo.
D) Qual è il tuo rapporto con questi luoghi?
R) Ho una visione un po’ mitica di questi luoghi. Li vivo, ma non ho il punto di vista di un autoctono: per questo probabilmente mi appaiono così belli. Questo disco non racconta però la cultura specifica della Valsesia, né nomina luoghi specifici: piuttosto qui racconto la mia montagna, filtrata attraverso l’immaginazione, la composizione della canzone e gli strumenti tecnici e musicali.
D) Che cosa della montagna ti ha ispirato di più per questo disco?
R) Ho attinto molto dal repertorio di leggende delle Alpi. In “Basiliscus“, per esempio, una donna racconta di come un rettile con la cresta da gallo, un essere della mitologia alpina, si è insediato nella sua tomba. E poi dalla montagna vengono anche suggestioni, immagini, paesaggi che mi hanno colpito. Compongo sempre a casa, al mio pianoforte: per questo mi baso sempre su ciò che mi ha particolarmente colpito, mettendo il filtro dell’immaginazione tra me e le Alpi. Tra l’altro, nel mio disco c’è anche una canzone dedicata al mio piano, “Carl Holz”: è il nome del mio pianoforte, ma “holz” significa anche bosco.
D) Nel disco sono presenti anche i rumori della montagna. In che modo?
R) Tutta la parte ritmica e percussiva è stata realizzata partendo da field recordings: io stessa sono andata in montagna con un registratore per raccogliere quei suoni, che poi sono stati digitalizzati e rielaborati al computer.
D) Sulla copertina del tuo nuovo disco c’è l’immagine di una foresta, su quella del primo album c’erano degli alberi stilizzati. Perchè questa scelta?
R) Il primo disco si basava sull’idea di una situazione in cui non si può vivere la vita vera, e allora la si immagina attraverso l’arte e la letteratura. Gli alberi stilizzati rappresentavano quindi questa artificiosità. In questo nuovo disco il legame con la natura è più diretto e concreto. In copertina c’è la fotografia di una foresta virata sul rosso, quasi a voler inserire, di nuovo, un filtro, una mediazione. Non è un effetto di Photoshop, ma il frutto di un processo di sviluppo della foto come se fosse una diapositiva. Mentre scrivevo le canzoni, mi ero già fatta un’idea precisa dell’artwork, poi ho chiesto al fotografo Stefano Schiaffonati di immortalare il bosco.
D) L’ultima traccia del disco si intitola “Waldeinsamkeit”, un termine tedesco che indica la sensazione di trovarsi soli nel bosco. Perché hai deciso di inserire questa idea nel tuo disco?
R) “Waldeinsamkeit” è il titolo di una poesia di Ralph Emerson. Un giorno ho letto di questo concetto e mi è sembrato giusto usarlo per chiudere il disco. È una sensazione molto legata a un sentire romantico, che io stessa ho sperimentato quando mi sono trovata da sola nella foresta per registrare i suoni.
D) Oltre al paesaggio alpino, ci sono altri tipi di ambiente che attirano il tuo interesse compositivo?
R) Sono molto affascinata dai luoghi in cui la natura è protagonista, ma mi interessano anche le città. Mi interessa molto l’ambiente come contesto abitativo, il paesaggio urbano ed extraurbano. Mi attira osservare e capire i luoghi abitati, il modo in cui la gente li abita e il rapporto che si instaura tra la gente e il luogo dove vive.
Veronica Ulivieri