Cambogia, le ferite ambientali della guerra civile
Entrando in Cambogia dal confine Nord con il Laos si può facilmente notare l’eccessiva deforestazione a favore dei campi agricoli. Durante la guerra civile – che durò dal 1970 al 1994 – i guerriglieri finanziavano la lotta attraverso la vendita del legname ottenuto con una deforestazione illegale. Gli spietati Khmer Rossi, in quegli anni, commerciavano legname cambogiano al confine con le compagnie thailandesi, che si facevano aiutare dai propri militari.
Nel 1990 il fenomeno raggiunse un livello tale che il Fondo Monetario Internazionale decise di cancellare un prestito di 120 milioni di dollari e la Banca Mondiale di sospendere gli aiuti finanziari al governo finchè la corruzione nel settore non fosse risolta. Solo così il governo si mosse, per cercare di placare questa inarrestabile devastazione ambientale. Si registrarono quindi i primi effetti positivi, ma l’azione non fu abbastanza incisiva e dal 2000 al 2005 il 30% della foresta cambogiana fu distrutta. Ad oggi solo metà del territorio cambogiano rimane coperta da foreste e sebbene il governo sembri aver consolidato un maggiore controllo del fenomeno, la superficie forestale è destinata ancora a diminuire, anche a causa dagli scavi delle miniere da cui si ricava oro, bauxite e ferro.
A generare problemi ambientali di difficile risoluzione è poi la rapida crescita della popolazione urbana. L’aumento dei liquami non trattati, i rifiuti industriali e gli sprechi di ogni genere stanno inquinando la superficie e i pozzi d’acqua in diverse città e villaggi cambogiani. Il sistema fognario non è adeguato o spesso non è funzionante, a discapito dell’igiene e porta, come conseguenza, un elevato rischio di malattie, tra cui diarrea e colera, nella popolazione urbana. La pressione demografica sulla capitale e le sistemazioni improvvisate, dovute al sovraffollamento, stanno causando spreco d’acqua, danni alle infrastrutture e al sistema naturale di drenaggio, che fino ad oggi è servito come salvaguardia contro la possibilità di allagamenti. Le diverse “maniche” di protezione dagli allagamenti sono state occupate dagli immigrati in città, restringendo i flussi d’acqua e aumentando significativamente le problematiche igieniche.
La raccolta rifiuti, in gran parte della Cambogia, è piuttosto scarsa e troppo spesso si trovano piccole discariche a cielo aperto sparse per la città, in mezzo alle abitazioni. La povertà porta molti cambogiani, soprattutto bambini, a rovistare tra i rifiuti alla ricerca di materiale da riciclare per ricevere un piccolo compenso economico. I cassonetti rimangono però aperti e i rifiuti fuoriescono per le strade causando odori e inquinamento al limite del sopportabile.
Il disinteresse sui temi ambientali della popolazione locale sta danneggiando anche le risorse costiere, marine e di acqua dolce, già degradate dalla sedimentazione di fiumi e coste, dalla conversione delle foreste di mangrovie e da una mal gestita acquacoltura di gamberi. Stanno inoltre aumentando rapidamente le pressioni sulle risorse acquatiche e paludose per la pesca sfrenata, l’utilizzo di pesticidi chimici molto dannosi e il prosciugamento delle paludi a favore dell’agricoltura.
Riguardo alla drammatica situazione asiatica sull’utilizzo dell’amianto killer, già denunciata nel nostro precedente articolo, la Cambogia purtroppo non si differenzia dai suoi vicini. Nonostante siano meno visibili le tettoie in asbesto, il mercato legato al suo utilizzo, per realizzare un tipo di cemento di “maggiore qualità”, è in continua espansione e provenie soprattutto dalla Thailandia. Si stima, negli ultimi anni, una media annua di importazione di amianto di circa 40.000 tonnellate. Anche in questo paese non esistono ancora, del resto, le conoscenze e gli strumenti medici per correlare i danni alla salute causati da questo intollerabile mercato. La mancanza di consapevolezza da parte dei lavoratori e degli operatori del settore non permette loro di proteggersi adeguatamente.
La Cambogia, dopo la terribile guerra civile che ha lasciato ferite profonde, ancora insanate, ha dovuto fare i conti con una povertà diffusa, che ha portato corruzione e un eccessivo sfruttamento delle risorse naturali. Il degrado della biodiversità e delle risorse forestali avrà conseguenze pesanti sulla future generazioni, se si pensa che circa 3/4 della popolazione vive ancora di agricoltura e dipende dalla propria terra per coprire le necessità quotidiane, e dall’agricoltura deriva quasi il 40% del PIL nazionale.
L’urgenza di un modello sostenibile di sfruttamento dei terreni, per salvaguardare le foreste nazionali e le risorse acquatiche, imporrebbe la creazione di aree protette e una maggiore azione governativa. Eppure ci si ritrova, anche qui in Cambogia, di fronte all’ennesimo caso in cui l’importanza di intervenire e informare la popolazione locale sulle conseguenze letali di questi fenomeni viene sacrificata all’altare di interessi economici di una ristretta minoranza.
Carlo Taglia
Le riflessioni di viaggio complete di Carlo Taglia, documentate da foto e video, sono disponibili sul suo blog: http://karl-girovagando.blogspot.com/