Bruxelles si interroga su nucleare e pozzi offshore: 25 miliardi per rendere sicure le centrali
Nucleare e pozzi offshore di gas e petrolio. Anche questa settimana le massime istituzioni europee hanno visto all’ordine del giorno alcuni temi caldi del dibattito sulla transizione ad una low carbon economy. Argomento senza dubbio più scottante quello relativo alle centrali nucleari. L’incidente di Fukushima ha infatti spinto l’UE, nel giugno 2011, ad attivare una serie di “stress test” i cui risultati sono stati anticipati questa settimana dal Commissario all’Energia Gunther Oettinger.
Sotto il controllo di ENSREG, l’organismo europeo che raccoglie le agenzie di sicurezza nucleare di ogni Stato UE, sono stati sottoposti ai test 145 impianti sparsi sul territorio di quindici Stati membri. La valutazione ha riguardato la solidità e la sicurezza delle infrastrutture in caso di catastrofi naturali, in particolare alluvioni e terremoti. Addirittura nel caso che accadano simultaneamente. I risultati, a dire il vero, non sono così rassicuranti. Gli standard attuali per il calcolo del rischio non sono infatti applicati in 54 reattori, nel caso di terremoti, e in 62 per il pericolo inondazioni. Gli strumenti di misura e allerta di possibili scosse sismiche dovrebbero invece essere installati o migliorati in 121 reattori, mentre 81 non hanno luoghi sicuri dove custodire le apparecchiature necessarie a fronteggiare gravi incidenti. E ancora: 32 reattori non sono equipaggiati con sistemi di ventilazione che consentano la depressurizzazione sicura in caso di incidente e 24 non dispongono di una sala di controllo di emergenza in caso quella principale sia fuori uso.
“La sicurezza, in generale, è sufficiente”, commenta tuttavia Oettinger, “ma non c’è spazio per l’autocompiacimento, si deve lavorare insieme per fare in modo che gli standard siano sempre messi in atto”, ha aggiunto il Commissario. Nessuna centrale da chiudere, quindi, ma l’Esecutivo di Bruxelles ha fatto i conti: saranno necessari investimenti compresi fra i 10 e i 25 miliardi di euro per rendere le centrali UE in linea con i massimi livelli di sicurezza previsti dall’Agenzia Atomica Internazionale. Il rapporto completo e le raccomandazioni relative ad ogni singolo impianto sono però ancora in via di completamento e saranno sul tavolo del Consiglio Europeo del 18 e 19 ottobre. Spetterà, infatti, ai Governi degli Stati membri l’attuazione delle linee guida dettate dai dossier.
In quell’occasione ad avere i maggiori grattacapi sarà sicuramente la Francia, Paese nel quale ci sono il 40% delle centrali UE. I risultati preliminari segnalano inoltre il Paese d’Oltralpe come quello con il maggior numero di impianti che necessitano di ammodernamento. Tutti i cinquantotto reattori francesi presentano, infatti, carenze in materia di sicurezza. Raggruppati in diciannove centrali, quattro delle quali molto vicine al confine italiano, nessuno dispone, per esempio, degli strumenti di misurazione sismica. Non sono adeguati nemmeno gli equipaggiamenti per il soccorso in caso di incidente, a differenza di quelli di altri Paesi, come la Germania, il Regno Unito, la Svezia e la Spagna, ritenuti” in regola”.
A Bruxelles non si è parlato solo di nucleare. Nel mirino della discussione sono finiti anche gli impianti petroliferi e di gas offshore. Sulla base delle relazioni nazionali e dell’analisi dei rischi condotte dalla Commissione Europea, nell’UE le probabilità di gravi incidenti legati alle piattaforme di estrazione in mare aperto sono infatti elevate. A riassumere la situazione è una relazione parlamentare a cura di Ivo Belet, eurodeputato belga responsabile delle nuove norme sulla sicurezza di questi impianti. Anche in questo caso, ad avere fatto scattare il campanello di allarme ex post è stato il disastro ecologico del Golfo del Messico. Ma non è l’unico: secondo le stime della Commissione Europea, le perdite economiche e i danni dovuti a incidenti offshore nel settore degli idrocarburi, nella sola UE, sono mediamente quantificabili fra i 205 e 915 milioni di euro l’anno.
La nuova legislazione, che la presidenza cipriota dell’UE spera di vedere approvata entro il semestre, ha come obiettivo quello di assicurare che solo le imprese dotate di adeguati mezzi tecnici, piani di emergenza e risorse per risarcire eventuali danni ambientali fino a 370 km. dalla costa abbiano il nulla osta per potere lavorare nelle acque dell’Unione Europea. L’iter di approvazione appare però complicatissimo. In primo luogo per quanto riguarda i contenuti, dalla definizione stessa di “grave incidente” alla capacità tecnica e finanziaria che gli operatori dovranno assicurare. Da definire, inoltre, il possibile ruolo dell’Agenzia per la Sicurezza Marittima UE (Emsa), la verifica di piani di rischio e di emergenza da parte di organismi indipendenti, una possibile moratoria sulle trivellazioni nell’Artico e l’applicazione da parte delle aziende europee degli stessi standard di sicurezza anche nelle operazioni extra-UE. In secondo luogo per la forma che le regole dovranno assumere. La differenza sarà importante: un Regolamento prevede norme uguali per tutti gli Stati membri e immediatamente applicabili. La Direttiva, invece, va trasposta e recepita nell’ordinamento nazionale, con i relativi tempi e modifiche. E pare che la maggioranza delle istituzioni e dei Paesi propenda per quest’ultima opzione.
Includendo anche Norvegia, Islanda e Liechtenstein, si parla complessivamente di quasi mille impianti offshore. E le misure avranno un forte impatto anche sull’Italia, che si posiziona al terzo posto nell’UE per numero di piattaforme (123), dopo Gran Bretagna (486) e Paesi Bassi (181). Non è un segreto il fatto che il Mediterraneo sia diventato una nuova terra di conquista per i pozzi offshore di gas e petrolio. Tanto da far alzare la voce dell’Organizzazione Mondiale per la Conservazione della Natura (Iucn). La zona costituisce, infatti, una delle trentaquattro aree critiche per quanto riguarda la biodiversità dell’intero Pianeta (i cosiddetti “hotspots”). Proprio a causa delle delicate condizioni ecologiche del Mediterraneo, della minaccia per la vita marina e per le comunità costiere, L’Iucn chiede dunque a Bruxelles che vengano definite rigide regole di sicurezza, come quella di non consentire autorizzazioni laddove sono possibili impatti su vicini siti naturali.
Beatrice Credi