Antonello Colonna: “No ai pesticidi, sì alla permacultura”
Un anarchico ai fornelli, l’Ottavo Re di Roma: sono solo alcune delle definizioni usate da giornalisti, critici gastronomici, amici o semplici appassionati della cucina per riferirsi ad Antonello Colonna, uno degli chef più noti di Roma. Un cuoco dalle mani d’oro e dal cuore verde, come testimoniano non solo la sua cucina e il suo ristorante, ma anche la sua attività di supporto al progetto di Greenpeace per sensibilizzare al concetto di agricoltura ecologica. Proprio Open Colonna ha ospitato la presentazione dello studio “A come ape. Un’agricoltura senza pesticidi è possibile” che integra ricerca scientifica ed esperienza pratica di agricoltori e imprenditori che ormai applicano la moderna agricoltura sostenibile in tutta Europa. Durante la presentazione, Antonello Colonna ha servito alcuni suoi piatti realizzati con ingredienti che dipendono dall’impollinazione delle api.
D) Perché ha deciso di partecipare a questo progetto di Greenpeace?
R) Perché le api impollinano un terzo del cibo che mangiamo e la maggior parte della flora spontanea di cui disponiamo. No ai pesticidi, sì al prodotto naturale e alla natura, sì alla permacultura.
D) Cosa significa per lei territorio?
R) Il territorio per me è legato all’utilizzo di una materia prima che ci appartiene, che non è stata contaminata, che ha un valore in quanto ambiente, ecosistema, stagionalità, storicità, identità. Il territorio è identità. Mentre territorio e consumismo sono due realtà che non possono convivere. Oggi il problema della cucina italiana e dell’Italia in genere – e dell’informazione alla società che ne consegue – sta nel linguaggio, cui sono state rubate, soprattutto nel campo del cibo, parole che oggi non hanno più senso. Faccio un esempio: genuino aveva un significato ben definito. Ma oggi che senso ha questa parola dal momento che la ritrovi sulle etichette dei prodotti delle maggiori industrie italiane? Oggi aroma naturale lo usano tutti, ma cosa significa? Nella disciplina legale questo termine è stato reso applicabile a diversi prodotti, ma per me ha ben altro significato, si ricollega alla natura e non alla produzione di prodotti trattati. Ecco perché dico che territorio e identità devono viaggiare assieme. Molti errori sono stati commessi anche nell’informazione.
D) Qual è il rapporto quotidiano che ha con l’ambiente?
R) Nella realizzazione del mio resort mi sono perlopiù avvalso dei valori radicali in cui credo. Non so se sono green, ma so che si fondano su un profondo rispetto per l’umanità e per la natura. La riserva naturale che ci circonda era una discarica a cielo aperto che ho bonificato, ottenendo che alcune specie, da tempo scomparse, tornassero a ripopolarla. Pretendo dai ragazzi del mio staff una rigorosa raccolta differenziata e così via. Non voglio negare l’importanza di bioarchitettura, biodinamica, bioecologia – elementi, tra l’altro, tutti presenti nelle mie strutture – ma per me essere green è soprattutto una condotta di vita.
D) Quali sono i pro e i contro della filosofia km 0?
R) Senza dubbio la sensibilità alla qualità e al biologico, nell’opinione comune, è molto aumentata. Ma credo che le persone siano disorientate, non sono messe nella condizione di fidarsi e di fare delle scelte veramente consapevoli se ad ogni angolo della strada c’è un’insegna “km 0”. Questo dipende soprattutto dal boom mediatico che le assedia. Nel mondo della ristorazione non cambia molto: la strada da percorrere è lunga, soprattutto se si intende fare una vera distinzione tra retoriche, demagogie e vere consapevolezze.
D) Quali sono le eccellenze dell’Italia e come dovremmo preservarle in un’ottica di rispetto per l’ambiente?
R) L’Italia, più di ogni altro Paese, ha capitali di enorme valore, il suo cibo, la sua tradizione e sperimentazione culinaria, che dipendono dal lavoro svolto gratuitamente dagli insetti. Chiunque voglia salvaguardare queste risorse così importanti per l’economia del nostro Paese deve tenere da conto il lavoro di questi insetti e proteggere la nostra agricoltura. Ribadisco, no ai pesticidi, sì alla permacultura.
D) È stato definito un anarchico e rivoluzionario. Quali sono le sue rivoluzioni?
R) Racconto sempre di avere tre vite: una pubblica, una privata, una segreta. È in quella segreta che si accendono le mie “visioni”, che poi prendono forma in progetti e iniziative, attraverso cui gli altri mi attribuiscono un ruolo. Io mi limito a seguire le mie fantasie, lo faccio sin da quando ero bambino. Ci sono delle parole chiave che ben sintetizzano quello che accade nella mia cucina: identità, passione, agonismo. Sono i tre elementi che ci permettono di continuare al meglio un percorso ormai trentennale, una storia gastronomica che ha alla base una sana interpretazione della cucina italiana e romana. E non uso interpretazione a caso, ma volutamente in contrapposizione con rivisitazione e correzione, che invece non mi appartengono. Ciò che caratterizza il mio lavoro è la valorizzazione di quell’ecosistema gastronomico fatto dei prodotti di stagione del nostro splendido territorio, elementi che vanno recuperati e rispettati nei loro cicli naturali. C’è poi l’aspetto di gestione del locale in quanto attività commerciale, che al giorno d’oggi obbliga ogni cuoco ad essere un piccolo manager; è per questo che ho deciso di dare vita al nostro primo master in management della ristorazione, dove in dieci mesi puntiamo a dare la possibilità ai giovani di approfondire la storia e la cultura della cucina e di acquisire fondamentali nozioni di comunicazione e marketing. Poi, alla sera, tutti ai fornelli, per tenere sempre a mente che l’unica regina resta la cucina in quanto tale!
Daniela Falchero