Amara Lakhous: “Mi sento come un albero con radici mobili”
Dall’Algeria a San Salvario, il quartiere multietnico di Torino, passando per il doloroso cammino del terrorismo, della censura, della repressione, come “un albero con radici volanti”. Solide, ma mobili. La vita di Amara Lakhous, scrittore algerino da 16 anni in Italia, prima a Roma ora in Piemonte, è un camper (ecologico, visto che lui e famiglia hanno scelto di non avere auto di proprietà e muoversi quasi sempre a piedi) di esperienze di migrazione. Dal Maghreb alla Capitale, per approdare poi nella città sabauda, sempre con l’occhio aperto dello scrittore. Lakhous racconta con l’ironia della commedia all’italiana cosa vuol dire sentirsi cittadino di molte terre, figlio di molte lingue, proprio come una “pianta camminante”, che cresce continuando il suo viaggio.
D) Lei è molto legato ai luoghi, come traspare dai suoi romanzi. Però, a un certo punto, li abbandona. Perché?
R) Sono sempre stato affascinato dagli alberi, ad esempio quelli che ho visto in Australia che hanno quattro secoli e portano con sé una storia incredibile. Considero la mia vita al pari di quella di un albero che diventa grande, ma non nella stessa terra. Ho bisogno di nutrirmi in più terre. Tant’è che scrivo in arabo e in italiano. Questa metafora dell’albero l’ho trasferita anche nell’ultimo romanzo e nel documentario per la regia di Fabio Ferrero, ambientato a San Salvario a Torino. Mi sento un albero che cammina. Ho sempre raccontato i miei trasferimenti, prendendo spunto dall’esperienza di immigrato che si è occupato di intermediazione culturale con gli arabi in Italia, mi sono interrogato a lungo sul concetto distorto di integrazione.
D) Non le piace questo termine?
R) No, perché presuppone una superiorità, una pretesa di spogliare l’immigrato della sua identità. Per questo mi sento un albero: non sono né algerinissimo, né italianissimo, ho adottato la vostra cittadinanza linguistica, con il sogno di essere uno scrittore. Nel mio paese non avevo la possibilità di realizzare questo sogno. Molti miei amici, penne celebri in Algeria, sono stati ammazzati durante il terrorismo degli anni ’90. Io sono stato fortunato. Ma odio la retorica dell’integrazione. L’Italia non è integrata in sé, tra uomini bianchi, italiani, cattolici non c’è fratellanza. Non penseremo mica di pretendere di omologare, non si sa bene sulla base di che parametri, chi viene da molto lontano? La mia cittadinanza è plurima, aggiornata, arricchita, è quella che darò ai miei figli.
D) Nella sua cultura, nel suo Paese d’origine, che attenzione c’è per le questioni ambientali? Sono un dibattito attuale? Se ne parla?
R) Purtroppo, sul discorso dell’ambiente siamo molto indietro. In Algeria la differenziata non si sa neppure cos’è. E’ questione di educazione, non certo di valori. La religione musulmana ha una grande attenzione e reverenza per quel che è natura. Per esempio per il corpo, che non appartiene all’essere umano, ma è dato in affidamento da Dio, come un pegno che va restituito. In un articolo che ho pubblicato anni fa per Affari Internazionali tentavo di trasferire questo concetto religioso dal corpo alla natura, che va preservata come il frutto di un prestito.
D) Il suo nuovo lavoro ha come teatro del racconto un quartiere di Torino. Come si vive nella città della Mole?
R) Il libro uscirà a maggio, in contemporanea con il documentario, perché le due cose sono strettamente legate. Credo che in Italia questa sia la città in cui la qualità della vita è più alta. Io e la mia famiglia non abbiamo l’auto di proprietà, ci muoviamo benissimo a piedi. Ci sono molti punti verdi, le distanze sono ravvicinate e dal punto di vista culturale l’offerta è incredibile e di qualità. Purtroppo non è così ovunque.
D) Ha in mente un esempio negativo?
R) Il mio maestro, Leonardo Sciascia, diceva che la Sicilia è metafora del mondo. Posti bellissimi, distrutti dall’abusivismo, dall’incuria, dalla sporcizia. Pensiamo a Siracusa e ai suoi templi. Credo sia mancanza di educazione da parte degli italiani, mancanza di civiltà. La stessa che si ritrova a Torino sui marciapiedi.
D) In che senso?
R) Nel senso che non si può camminare senza incontrare sul tragitto non so quanti escrementi di cani. L’inciviltà dei padroni di cani è uno dei punti neri della città.
D) E in Europa? Dove andrebbe ad abitare?
R) A Berlino. Ma ci ho già vissuto per breve tempo. Che città straordinaria, piena di parchi, con trasporti che funzionano alla perfezione! Il 20% della superficie è verde, è una cosa straordinaria, no?
Letizia Tortello