Alois Clemens e la sfida della sesta generazione: “In biodinamica è l’uomo che deve imparare, non la vite”
Alois Clemens Lageder, classe 1987, sesta generazione della famiglia altoatesina che produce vino dal 1823 – biodinamico dal 2004 – si laurea in Sociologia all’Università di Zurigo e poi si avvicina al mondo del vino con le scuole di Geisenheim, in Germania, e Dijon, in Francia. Fa le prime esperienze di lavoro negli Stati Uniti, in Francia e in Lussemburgo e torna in Germania, per un MBA alla Zeppelin Universität. Nel gennaio 2016 il suo ingresso nell’azienda di famiglia e il debutto a Summa, dove lo abbiamo incontrato nei giorni scorsi, in occasione del ventennale. Quando l’affiancamento al padre Alois sarà terminato toccherà a lui prendere in mano le redini dell’azienda e traghettarla alla prossima generazione…
D) Alois Clemens, anche quest’anno Summa è stato un grande successo, qual è la filosofia di questo incontro che raduna sia produttori bio che convenzionali?
R) Il senso di Summa è che il mondo del vino si ritrovi a festeggiare qui a Magré e tutti si prendano il tempo per rilassarsi e confrontarsi. Non tutti i produttori sono biologici o biodinamici, ma non è questo il significato principale della manifestazione – anche se essere certificati è sicuramente un plus (a tutti i nuovi produttori che partecipano per la prima volta chiediamo, infatti, di essere almeno certificati biologici).
D) Ma qual è il metro che utilizzate per selezionare i “convenzionali”?
R) I primi erano produttori come Boscarelli o Castello di Ama, che erano anche amici di mio padre, oggi siamo arrivati a 83 produttori in totale e c’è ancora qualche convenzionale. Il biologico e il biodinamico non devono essere una religione e non possiamo essere noi a imporli. Semmai possiamo ispirare… Noi scegliamo tramite dei valori umani (come l’amicizia), anche se l’azienda non ha ancora intrapreso o completato la conversione. Dietro il vino c’è sempre una persona, per questo chiediamo che il produttore sia sempre presente a Summa…
D) La location dell’evento contribuisce all’atmosfera di Summa. Quanto è determinante per voi essere in un borgo di case storiche, fuori dagli anonimi capannoni di cemento e dagli stand delle fiere?
R) Importantissimo. Ma è anche importante che comunque il Vinitaly sia qui vicino, a Verona. Un po’come è successo a VinExpo, che ha aumentato il suo fascino grazie alle visite agli chateau intorno alla fiera. Anche noi siamo una sorta di “fuori salone”, non vogliamo essere contro né un’alternativa, vogliamo essere qualcosa di più.
D) Oltre agli espositori, definireste anche il vostro pubblico di ospiti più qualificato e più interessato a scoprire l’autenticità del vino e le storie che vi “stanno dietro”, rispetto ai partecipanti delle fiere, tra i quali negli anni sono aumentati i “curiosi”, attratti solo dalla bevuta gratis?
R) Non lo so sinceramente se sia così, ma lo spero. Oggi qui abbiamo circa 1.500 ospiti, di cui 1.300, in effetti, sono operatori del settore. Gli altri 200 sono privati “interessati” al mondo del vino. Diciamo che qui c’è gente che mediamente conosce bene il vino e questo ci aiuta. Ma molti di loro sono gli stessi che stasera andranno al Vinitaly e quindi non direi che noi abbiamo ospiti “migliori”…
D) Che risposta darebbe a chi sostiene che il bio è solo moda?
R) In realtà siamo solo all’inizio… Molte persone iniziano a cercare il bio nel vino, ma, ad esempio, il marchio Demeter (per il biodinamico, NdR) non è ancora così conosciuto. Noi la vediamo così: il biodinamico 15 anni fa ci ha aiutati a cambiare il nostro approccio, ci ha aiutati ad osservare le cose in modo diverso, a partire dalla vigna. Abbiamo capito che non si può entrare con un trattore e irrorare fitofarmaci, ma bisogna trovare delle soluzioni differenti. Abbiamo quindi dovuto sperimentare e alla fine è la sperimentazione che ti aiuta a trovare la qualità… Non importa se la biodinamica sia di moda o no, quello che conta è che ti apre gli occhi… Noi non crediamo, in ogni caso, che si possano alzare i prezzi solo perché si fa bio…
D) I vostri 50 ettari di proprietà sono tutti coltivati in regime biodinamico, ma non tutti i 90 conferitori, ad oggi, sono passati a questi filosofia di produzione. Come gestite questa differenza?
R) Quattro anni fa abbiamo chiamato l’enologo Georg Meißner, che avevo conosciuto alla Hochschule Geisenheim in Germania, per aiutarci a convincere i nostri conferitori dell’Alto Adige a convertirsi al biologico e al biodinamico. E abbiamo ottenuto un grande risultato: ad oggi il 40% circa ha trovato la motivazione per fare questo passo importante. La biodinamica deve essere sempre vista come un ideale a cui tendere, un processo (anche sociale). Io non direi mai che noi siamo una tenuta biodinamica, perché ogni giorno c’è sempre qualcosa da imparare per avvicinarsi al ciclo olistico immaginato da Steiner, che comprende anche gli animali – una sorta di maso dove tutto è integrato. Ma qui in Alto Adige dove, come altrove, dominano le monocolture, c’è ancora molto da fare per ricreare quella biodiversità e ritornare alla filosofia del maso e del ciclo chiuso. Forse fra cinque o dieci anni avremo convinto tutti i nostri conferitori al biodinamico, ma ci vuole tempo per motivare i propri partner e far comprendere il significato di questa trasformazione, senza forzature. Se il cambiamento non è anche mentale, allora sì che rimane solo un trend…
D) Ma parlando con i vostri conferitori vi siete resi conto se, ad oggi, le loro perplessità sono solo di tipo economico o di natura agronomica?
R) Penso che, in generale, ci siano ancora tante persone che non credono all’approccio biodinamico. E, come dicevamo, non devono essere forzati, deve essere un cambiamento mentale progressivo, ci vuole del tempo per fargli vedere che funziona. Noi lo stiamo dimostrando da 15 anni nei fatti e credo sia un messaggio importante. Poi c’è sicuramente l’aspetto economico – comprensibile, se vogliamo – molti sono preoccupati delle rese, che all’inizio potrebbero essere minori. Attenzione però: minori non a causa della vite – che “si abitua” subito benissimo al metodo biodinamico – ma a causa nostra, se non abbiamo ancora maturato il nostro approccio… E’la parte umana che deve imparare, non la vite! In biodinamica devi imparare a conoscere molto bene, fino in fondo, il tuo vigneto.
D) Chi non capisce la biodinamica spesso vi etichetta come “stregoni” (la questione del corno stimola sempre la fantasia dei giornalisti), come si potrebbe sfatare questo pregiudizio?
R) Il modo migliore sarebbe accompagnarli in vigna… Scoprirebbero che è un approccio diverso, ma assolutamente logico. Nel vigneto non c’è solo la parte fisica; l’anima, lo “spirito” di un vigneto è altrettanto importante e anche la parte ritmica… Così come nell’uomo: se oggi sto male invece di prendermi l’aspirina dovrei capire le cause, pensando a cosa ho fatto ieri, e ristabilire l’equilibrio decidendo cosa farò domani…
D) Perché, secondo lei, c’è qualche produttore che pur dicendo di fare biologico e biodinamico non vuole certificarsi?
R) Può essere una ragione economica, perché non vuole pagare la certificazione, ma c’è anche un altro motivo… Prendiamo un’annata difficile, come il 2014: se sono certificato non posso all’improvviso decidere di usare i fitofarmaci, mentre chi non si certifica è libero di farlo e nessuno lo sa… Viene a mancare una garanzia al consumatore.
Andrea Gandiglio