Alessandro Perissinotto: “La chiave del successo è la comodità”
Il suo ultimo libro, ”Le colpe dei padri“, si è classificato secondo al Premio Strega 2013. Docente universitario, autore di numerosi polizieschi e saggi, Alessandro Perissinotto ha partecipato recentemente allo spettacolo Torino in tram e in bicicletta organizzato da Assemblea Teatro, accompagnando gli spettatori attraverso un viaggio che, dal tranvai di Edmondo De Amicis al tram popolare di Erri De Luca, scende in bicicletta in un percorso dentro la memoria della Torino operaia.
D) Perissinotto, perché la scelta dei mezzi pubblici come veicolo per questa avventura?
R) Lo spettacolo è incentrato sulla città, la scelta di attraversarla con i mezzi pubblici è legata al desiderio di lentezza, alla tranquillità necessaria per fermarsi a osservare luoghi particolari. La bici era il mezzo della Torino operaia e siccome il pezzo che ho scritto per questo spettacolo è una visita alla memoria di quella Torino, la bicicletta mi è sembrata il mezzo migliore.
D) Nei suoi lavori spesso torna il rapporto con la memoria e con il territorio: cosa significano per lei?
R) Qualsiasi ispirazione per me nasce da una profonda osservazione di ciò che mi circonda, ciò che chiamo spazio umano e che si lega in particolare ai luoghi che amo, quindi spesso nei miei lavori torna la montagna, il mio ambiente di nascita. Vivo la montagna come escursionista, un tempo sono stato anche alpinista, mi piace lo sci di fondo, la mia crescita è legata alla vita di paese, ai pascoli e ai raccolti.
D) Qual è il suo approccio all’ambiente?
R) È un legame attento, l’ambiente ci interpella tutti nel quotidiano, dalla raccolta differenziata ai consumi energetici. Qualsiasi mia azione rivolge una naturale attenzione all’ambiente, per me è uno stile di vita.
D) Che mezzi di trasporto usa solitamente?
R) Fra casa mia e il luogo di lavoro ci sono 350 metri di dislivello che in andata sono percorsi in discesa, ma al ritorno sono in salita e non mi sento di usare la bicicletta. Quindi preferisco la moto oppure l’auto fino alla base della collina e poi il bikesharing, un’iniziativa che a Torino è ben organizzata e ha avuto un buon successo.
D) Si parla molto del cicloturismo come di un fenomeno emergente: lei cosa ne pensa?
R) Ho fatto il mio primo viaggio in bici nel 1983-84 nei castelli della Loira. Ho fatto più volte le vacanze in bici, l’ultima tre anni fa nel circuito del Luberon, in Provenza, che segnalo perché si snoda su 350 km abbastanza movimentati ma molto piacevoli perché quasi tutti su itinerari ciclabili o su strade dove raramente passano auto. Anche l’Italia ha dei grandi circuiti cicloturisti, non dobbiamo cercare solo all’estero ciò che abbiamo anche nel nostro paese. C’è però da dire che, rispetto all’estero, in Italia il turismo low budget viene un po’ dimenticato dagli operatori turistici, per esempio diventa difficile trovare hotel che abbiano agevolazioni per i cicloturisti, cosa che in Francia o in Germania avviene normalmente.
D) L’uso dei mezzi pubblici può migliorare o educare il rapporto che le persone hanno con l’ambiente?
R) Sicuramente aiuta a formare una diversa consapevolezza, che deve però passare attraverso un punto importante, la comodità. Mi spiego: nella mia città le persone usano il bikesharing perché è comodo, solo a posteriori c’è anche una presa di coscienza del rispetto per l’ambiente, che non si traduce solo nella riduzione dell’inquinamento, ma anche in un uso più consapevole delle risorse. Se uso la bici mezzora al giorno non ho bisogno di possederla, posso condividerla. Ragionamento valido anche per l’automobile. Si arriva così alla comprensione che certi oggetti possono essere usati in condivisione e non in gelosa proprietà. Dobbiamo pertanto arrivare a rendere l’uso dei mezzi pubblici più comodo. In quelle città dove c’è una rete metropolitana efficiente lo è già. Ma è necessario eliminare la dimensione punitiva che è ancora legata al rispetto ambientale. Prendiamo ad esempio i cassonetti della raccolta differenziata: quello per il vetro richiede l’inserimento delle bottiglie una alla volta, quello per la carta ti chiede di infilarla in una fessura piuttosto stretta. Se si studiassero soluzioni più immediate le persone sarebbero anche più invogliate all’uso regolare.
D) Ha già scritto libri a tematica ambientale?
R) Ne ho scritto uno in cui il movente dell’omicidio era l’occultamento di rifiuti tossici, mentre il mio prossimo libro parlerà del boom industriale della Cina, analizzandone luci e ombre attraverso la storia di un ingegnere italiano che si trasferisce in Cina per seguire lo sviluppo del suo prodotto. Dopo un iniziale entusiasmo, presto si accorgerà che le ombre del sistema produttivo cinese prevalgono.
D) Cosa ne pensa del genere eco-thriller?
R) È una forma di educazione ambientale di una certa efficacia. Il crimine ambientale è uno dei più diffusi, pertanto è inevitabile che entri anche nella narrativa. Non ci rendiamo conto di quanto sia diffuso e di quanto sia nascosto. L’indicatore più profondo del cambiamento di mentalità in corso è il fatto che in un eco-thriller si riconosca l’ambiente come vittima. Solitamente nel genere poliziesco solo il crimine grave può essere considerato motore narrativo. Quando si parla di crimine ambientale facciamo un salto culturale importante perché riconosciamo nell’ambiente un soggetto che può soffrire, che può ricevere torti e quindi essere vittima.
Daniela Falchero