Requiem for Detroit?
Mai punto interrogativo fu più appropriato, verrebbe da dire.
Al Torino Film Festival, chiusosi sabato 4 dicembre con la vittoria del pluripremiato Winter’s Bone, Julien Temple, regista britannico autore di innumerevoli videoclip e documentari musicali, ha presentato il suo ultimo lavoro: un puntuale sguardo sulla città che per eccellenza ha incarnato il sogno americano, Detroit, e ciò che ne resta dopo l’ondata di crisi che ha investito il mercato dell’auto.
Temple, presente in sala, ha raccontato il proprio spaesamento di fronte alla finestra d’albergo: uno skyline identico a quello di molte altre città degli USA ma un silenzio irreale non appena se ne percorrono le strade, blindati dentro un auto, accompagnati dai racconti di chi quella città l’ha vista raggiungere l’apogeo e poi cadere rovinosamente.
Sul video, accompagnate da una gloriosa e quanto mai azzeccata colonna sonora (dal blues, punta di diamante della città negli anni Quaranta, a Eminem con la sua 8 Mile, passando per la techno e i rave dei capannoni abbandonati) scorrono le immagini di Motown, così chiamata quando le tre “sorelle” Ford, GM e Chrysler erano al massimo del loro attività e assicuravano lavoro a milioni di persone. Oggi una città quasi fantasma, travolta dalla ribellione dei neri del 1967, stordita dalla diffusione “politica” della droga fra i neri negli Anni Ottanta, annichilita dalla crisi delle quattro ruote, impoverita dalla bolla immobiliare, strangolata dalla recessione: un covo per poco più di 800 mila abitanti, quando ne aveva due milioni e mezzo solo vent’anni fa e c’erano progetti per farla crescere fino a cinque.
Ma forse, dice il regista, tra case abbandonate e date alle fiamme, tra chilometri quadrati di fabbriche ormai fatiscenti, non tutto è perduto, forse non è ancora giunta l’ora di recitare il requiem per Detroit: dalle ceneri di quel sogno americano possono sorgere nuovi modelli di vita.
Movimenti artistici e giovani pieni di speranza stanno tornando a ripopolare questa città, trasformando i quartieri demoliti in fattorie urbane, piccole comunità autosufficienti per il fabbisogno alimentare e energetico.
Temple percorre la desolata Detroit e ne racconta un secolo di storia, grazie anche ai ricordi e alla riflessioni di alcuni dei protagonisti della città: l’attivista Grace Lee Boggs, il poeta beat John Sinclair, Martha Reeves (and the Vandellas), il direttore della General Motors, e poi artisti, musicisti, gente di strada e nuovi pionieri e si domanda se davvero si giunta ineluttabilmente l’ora del funerale per questa città in cui la disoccupazione ha raggiunto il 29.8% e la devastazione e l’abbandono sono ovunque.
Pare di no, pare che il sogno americano abbia voglia di riemergere dalle proprie ceneri e di mostrare un altro volto: Detroit diventa dunque avanguardia del nuovo movimento agricolo urbano. La natura, dai tempi del grande esodo, si è lentamente ma inesorabilmente riappropriata del proprio spazio: alberi, erba e rampicanti hanno avvolto le case, circondato i lampioni e i cittadini di Motown hanno deciso di accompagnare questo processo e di convertire ettari di terreno in orti urbani, piccoli appezzamenti con i quali provvedere al sostentamento della famiglia. D’altra parte, si sa, le ceneri sono il migliore fertilizzante.
Elena Marcon