Randers: “Io, un fallito: il mondo è meno sostenibile oggi che nel 1972″
“Ho passato 40 anni della mia vita a studiare la sostenibilità: sono un fallito, perché oggi il mondo è meno sostenibile di quanto non lo fosse nel 1972”. Jorgen Randers inizia così la presentazione italiana del suo libro “2052 – Scenari globali per i prossimi quarant’anni”, pubblicato lo scorso anno e uscito ora in Italia da Edizioni Ambiente.
Nel 1972, per la prima volta, Randers – professore di Climate strategy alla BI, scuola norvegese di business – insieme ad altri tre colleghi disegnò, nel celebre studio The Limits to Growth (mal tradotto in italiano “I limiti dello sviluppo”) il futuro per i successivi 40 anni: “Abbiamo ipotizzato dodici scenari per il futuro, sei di questi erano tristi e prevedevano che tutto sarebbe andato male, gli altri sei erano positivi. Tutto ciò, però, non è stato afferrato dalla maggior parte delle persone”.
Scenari poi approfonditi in “Oltre i limiti dello sviluppo” (1992) e “I nuovi limiti di sviluppo” (2004), con risultati che non lasciavano spazio all’ottimismo. Oggi, dopo appunto quattro decenni dal primo studio, le cose non vanno meglio. Anzi. Il messaggio che arriva da “ 2052” è chiaro: se l’umanità prosegue il suo percorso di consumo eccessivo delle risorse con una visione a breve termine, potrebbe non sopravvivere. Randers, avvalendosi di 30 studiosi internazionali, traccia un percorso dividendo il mondo in cinque regioni (Stati Uniti, Ocse – compresa UE, Canada, Giappone e altre potenze – Cina, Brise– Brasile, India, Russia e Sud Africa – e il resto del mondo): “La popolazione mondiale raggiungerà il picco di oltre 8 miliardi di persone nel 2040, per poi scendere nel 2050. Il motivo? Il continuo calo del tasso di fertilità. Nel mondo povero si sceglierà di fare meno figli, ma anche negli altri Paesi le donne non avranno la possibilità di scegliere. Poi, il Pil globale crescerà più lentamente del previsto, a causa della crescita più lenta della produttività nelle economie mature. Il numero dei poveri nel 2052 potrebbe essere di 3 miliardi, l’economia crescerà ma l’impronta ecologica sarà molto meno importante di oggi”.
Il problema è che, prosegue Randers, i cambiamenti climatici saranno tali da farci utilizzare i capitali per gestire le emergenze: “Saremo obbligati a riparare i danni provocati, per esempio, da uragani: dovremo spostare intere frazioni dell’economia per sistemare queste cose”. L’origine di questa “vendetta della natura”, come la definisce lo stesso Randers, è da cercare nella concentrazione di CO2 nell’atmosfera che continuerà ad aumentare determinando un incremento di 2°C nel 2052 e di 2.8°C nel 2080, e che potrebbe innescare un cambiamento climatico auto-rinforzante.
La “responsabilità”di questi fenomeni è rintracciabile nel modello politico ed economico predominante focalizzato sul breve termine: “Abbiamo bisogno di un sistema di governo che abbia una visione più a lungo termine. E’ improbabile che i governi approvino leggi necessarie a costringere i mercati a destinare più fondi in soluzioni rispettose del clima. Perché se gli elettori scoprono che la bolletta è più costosa, non ti rieleggono. La gente non è disponibile a fare dei sacrifici oggi per avere un risultato domani”. A nulla è valsa l’esperienza: “Dopo l’uragano Katrina – aggiunge Randers – mi aspettavo che qualcosa cambiasse. Invece la mancanza di reazione negli Stati Uniti dopo quella tragedia mi ha fatto perdere ogni illusione”.
Anche dal punto di vista alimentare, le prospettive non sono buone: “Saremo in grado di produrre più cibo, ma ci sarà ancora la fame nel mondo perché i poveri non potranno permettersi di pagarlo, non ci sarà abbastanza denaro e questo farà proseguire le diseguaglianze sociali”.
Da qui, le tre grandi prospettive: “La popolazione del mondo e l’economia cresceranno più lentamente e questo porterà a un aumento di tensioni sociali e conflitti, i consumi stagneranno perché una quota maggiore di Pil dovrà essere ricollocata negli investimenti per risolvere i problemi causati dall’esaurimento delle risorse, dall’inquinamento e dai cambiamenti climatici. Terzo, il mondo scivolerà verso una condizione climatica difficile”.
Il tempo non gioca dalla parte dell’umanità. Perché, spiega Randers, “se 40 anni fa dicevo al mondo cosa avrebbe dovuto fare, oggi dico cosa farete”. Il libro contiene venti indicazioni personali su cosa fare per vivere meglio nel mondo futuro. “Dovremo ridurre il numero dei bambini, in particolare nel mondo ricco e non dico di smettere di fare figli: ho previsto che le donne nel mondo ricco faranno in questo modo, così come hanno già fatto centinaia di milioni di donne. Ridurre l’impronta ecologica, in particolari le emissioni di CO2: ogni anno emettiamo il doppio dei gas serra di quanto possa essere assorbito dalle foreste nel mondo e dagli oceani. Poi, costruire un sistema energetico a basso tenore di carbonio nei Paesi in via di sviluppo”.
I grandi summit internazionali non sono riusciti in questi anni a cambiare la rotta: “Avremmo potuto contrattare per avere una Banca Centrale sulle Emissioni di Co2, un organismo sovranazionale che decide: ma la democrazia non prenderà mai questa decisione. Il problema è l’umanità: siamo governati e siamo elettori a breve termine”.
Marta Rossi