“Hybris” ecologica: l’oltraggio alla natura oltre i limiti dell’uomo
Spesso per descrivere fenomeni moderni non servono parole nuove. Da qui parte “Hybris”, una raccolta di saggi a cura di Alberto Camerotto, docente di Letteratura greca all’Università Ca’ Foscari di Venezia, e Sandro Carniel, primo ricercatore dell’Istituto di Scienze Marine veneziano del CNR, da poco pubblicata dalla casa editrice Mimesis (228 pp., 18 euro). Oggetto del volume, intitolato con una parola della lingua greca antica, sono, come recita il sottotitolo, “i limiti dell’uomo tra acque, cieli e terre”. Limiti reali, ma che spesso l’uomo, proprio per la sua arroganza e noncuranza di ciò che gli sta intorno, non vede o ignora.
“La parola hybris significa violenza, oltraggio, arroganza: è una parola degli uomini e indica la violazione di un limite, di una misura di fronte agli dei, agli altri uomini, di fronte alla natura”, scrivono i curatori nella premessa, e proseguono definendo il termine “una parola adatta per il nostro presente”.
Introducendo i saggi, che si muovono tra diverse discipline – proprio come la hybris stessa non è limitata a un solo ambito della vita umana, ma li “abita” tutti – Camerotto e Carniel scrivono: “Se nell’affanno o nel disorientamento non vediamo più le stelle, la terra e il mare, questo ci fa dimenticare anche il nostro limite e la nostra natura. Solo quando siamo in difficoltà ce ne ricordiamo, magari in forma di lamento tra le devastazioni di un’alluvione e le montagne di rifiuti”. È la politica italiana dell’emergenza, della psicosi che scoppia all’improvviso dopo decenni di trascuratezza e oblio.
Nel suo saggio “L’altra hybris di Prometeo”, Camerotto spiega bene l’evoluzione dell’approccio dell’uomo alla natura servendosi del mito di Prometeo, il titano che ha portato all’umanità il dono del fuoco: “Se la hybris naturale dell’uomo è distruttiva, questa rientra comunque nell’ordine biologico del mondo. È una hybris che da sola in fondo può poco, gli uomini non sono che una delle tante specie e di sicuro non la più forte. Ma con la hybris della scienza v’è uno scarto. Mutano le potenzialità degli esseri umani, i quali con il fuoco (e la scienza) hanno una responsabilità che nella loro libertà potrebbero non saper governare”. Senza “responsabilità”, “sapienza”, “virtù”, “giustizia”, il progresso tecnologico sfugge facilmente di mano, con le conseguenze distruttive di fronte alle quali ci troviamo ogni giorno.
Francesco Vallerani, studioso di Geografia, nel suo saggio dal titolo “Paesaggi d’acqua e controllo umano”, delinea il percorso che ha portato alla presa di coscienza dell’uomo su questo approccio oltraggioso alla natura: “Nell’ambito del pensiero ambientalista, è a seguito della pubblicazione nel 1963 di Silent Spring (il libro di Rachel Carson che ha denunciato per primo i gravi effetti ecologici del DDT, ndr) che si inizia a far emergere con più coraggio la hybris del presente, rafforzati dal susseguirsi di eventi apocalittici puntuali, tra cui il caso del Vajont costituì a lungo un poco invidiabile primato italiano nel panorama delle catastrofi globali. Se a ciò si aggiunge l’allora incerto scenario geopolitico dominato dalla guerra fredda e dalla corsa agli armamenti nucleari, appare in tutta la sua drammatica evidenza il delinearsi di una ‘società del rischio’ dominata da quella che il filosofo Gunther Anders definisce ‘terza’ rivoluzione industriale, dove il predominio della tecnica rende l’uomo ‘antiquato’”. Lo stesso Vallerani approfondisce i molti casi di hybris idraulica: dal sovrasfruttamento da parte dell’URSS degli affluenti del lago d’Aral, che hanno determinato la trasformazione del grande bacino dell’Asia centrale in deserto in pochi decenni, alla realizzazione, in poco meno di venti anni, di venti dighe nell’area della Valle del Tennessee, durante il New Deal. Riferendosi anche a casi più recenti di opere idrauliche realizzate in Paesi in via di sviluppo, Vallerani evidenzia come “la prassi della hybris idraulica” non abbia comportato solo “coercizioni e violenze ai danni dei più deboli”, ma anche e soprattutto “la decostruzione del roseo futuro a causa del succedersi impietoso di effetti collaterali”.
Altro caso interessante di hybris ecologica, è quella climatica, approfondita nel saggio di Sandro Carniel “Oceani e clima”. Il ricercatore parte dal sottolineare il ruolo degli oceani nel sistema climatico, come “ottimi antagonisti” di quei fenomeni di riscaldamento globale indotti dalle attività antropiche. Oceani che però, proprio con un atto di hybris, sono stati trascurati “perché abbiamo ritenuto che la loro importanza si esplicasse maggiormente sul ‘clima’ e non sul ‘tempo meteorologico’; salvo comprendere ora che anche il primo può cambiare in tempi relativamente brevi”. Così come non ci si è curati dello studio degli oceani, allo stesso modo si è andati avanti senza considerare i campanelli d’allarme di un Pianeta a rischio collasso: “Un atto di hybris, di tracotanza e prevaricazione, in spregio a ogni principio di precauzione, che lascia sul tavolo (oltre alla necessità di aumentare la comprensione) solo ipotesi di mitigazione e adattamento”.Alla fine della trattazione, rimane aperto solo un piccolo spiraglio. Come scrivono i curatori nell’introduzione, una soluzione, anche se difficile, “viene proprio dalla consapevolezza dei limiti e dalla responsabilità, ossia dall’ethos della ricerca scientifica, e dalla prometheia, la capacità di capire prima che sia troppo tardi. È probabilmente solo una speranza”.
Veronica Ulivieri