God save the green: giro del mondo passando per gli orti urbani
Tra le pieghe della superficie rugosa di un peperone verde splendente. Il film inizia così, con macroscatti di ortaggi e foglie che sembrano universi, alternati a scorci di città dagli skylines ultramoderni, costellati di palazzi-alveari. Quindi immagini datate di frenetici supermercati anni Sessanta. Una voce fuori campo s’interroga sulle città come luogo dove vivere o posto per produrre. “God save the green”, di Michele Mellara e Alessandro Rossi, è un film documentario che fa il giro del mondo per orti urbani e periferie trasformate attraverso coltivazioni idroponiche o giardini recuperati per fame di bellezza o fame tout court.
“Dalla riflessione sul diritto al cibo e sulla sovranità alimentare ci siamo poi concentrati sull’agricoltura urbana e in senso lato sugli spazi di verde in città, chiedendoci cosa succede nelle nostre città, come cambiano gli spazi di vita comune, visto che dal 2007 la popolazione mondiale è per la maggior parte popolazione cittadina”, spiegano i registi. Per questo, continua Mellara, “abbiamo chiesto alle persone incontrate di raccontare cosa sia la loro città, come si vive, nel nord e nel sud del mondo, perché per noi occidentali la città ha un significato, ma per chi vive a Nairobi è già tutt’altro”.
Lavorazione di due anni per questo affresco di storie raccolte tra le terre riarse del Marocco, le periferie brasiliane, Nairobi, Berlino, Torino, fino agli orti comunali di Bologna. A Casablanca una terra abbandonata, a ridosso del centro urbano, è stata strappata all’inaridimento da un patriarca musulmano che condivide con vicini e familiari i frutti freschi. A Teresina (Brasile) sono tante le donne che lavorano negli orti idroponici, ricavati con poca terra in bottiglie di plastica collegate per il passaggio dell’acqua. Le insalate raccolte, lavate festosamente sempre da mani femminili, vengono poi vendute porta a porta: il ricavato dà da vivere a famiglie intere.
A Berlino le storie incrociate dai registi sono diverse. Da quella di un’aerea verde sorta lungo le piste dell’ex aeroporto di Tempelhof, autogestita da un collettivo e aperta a tutti, a quella di un immigrato che ha preso a coltivare un lembo di “terra di nessuno”, a ridosso del Muro; dai giardini recuperati tra i palazzi di Kreutzberg, dove le piante sono coltivate in cassette pratiche da smobilitare, alle aiuole allestite dai guerrilla gardeners in mezzo al traffico. “Storie conosciute grazie alle organizzazioni che operano in quei posti ma anche incontrate fortuitamente”, racconta Rossi. “A legarle è la bellezza del verde, la bellezza assoluta, intensa e primitiva. E’ la ricerca del bello, anche se nessuno lo dice espressamente, che lega tutte queste vicende”. Da qui la scelta della macrofotografia e dei commenti (poetici) fuoricampo. Ricerca estetica che si sposa anche con la ricerca di maggiore vivibilità del luogo in cui si vive, e con la ricostituzione di un senso di comunità. La cura della terra, in un episodio, è anche cura dell’anima colpita da un lutto – confessa una madre che ha perso il figlio.
Piccoli camei hanno per protagoniste due bambine, figlie dei registi: pochi fotogrammi appena per una bimba seduta su un prato, intenta a giocare con una margherita, in un’assenza di parole che trasmette la pura calma dell’infanzia, le ore di gioco e scoperta. Per l’altra, più grande, la scena è su un balcone, di sera: è il momento di annaffiare, e la ragazzina vi attende raccontando a suo modo le caratteristiche delle foglie di diverse piante, per poi inciampare e rovesciare l’acqua.
Prima di questo documentario, il duo Mellara-Rossi era già un sodalizio ben rodato. Dopo la comune formazione a Bologna nel Teatro della Polvere, un esordio cinematografico con “Fortezza Bastiani”, un film corale che sotto le spoglie della commedia serve il piatto amaro dei disincanti. Quindi il passaggio al cinema documentaristico, con “La via dei farmaci”, altro tema legato alla globalizzazione. “God save the green” è in proiezione in una trentina di città italiane, tra cui Treviso, Verona, Milano, Bologna e Firenze. Come anticipazione verso Cinemambiente 2013, il principale festival di cinema ambientale che si svolgerà a fine maggio a Torino, stasera il film sarà proiettato nel capoluogo piemontese (Cinema Massimo, ore 20,30). Al termine della proiezione gli autori incontreranno il pubblico insieme al direttore del festival Gaetano Capizzi e all’architetto paesaggista Michela Pasquali. Prevista anche la diffusione in dvd, per le Edizioni Cineteca.
Prodotto dalla Mammut film con un budget che è un piccolo puzzle di contributi (bandi europei per l’audiovisivo, fondi regionali di Emilia-Romagna e Piemonte per il montaggio, partecipazione di Rai Cinema e raccolta fondi dal sito di crowdfunding Indiegogo per l’ultimo step) il film ha visto la collaborazione produttiva della Onlus Cefa e del progetto di agricoltura urbana Horticity-Università di Bologna.
Cristina Gentile