99 non fa 100. La saggezza di chi vive in discarica
Una bottiglietta di plastica riciclata in più o in meno fa la differenza. Perché – è matematica, ma anche filosofia di vita - 99, semplicemente, non fa 100. Il povero Valter non ce l’ha fatta ed è morto di tumore ai polmoni prima di vedere completato il proprio ritratto, ma la sua perla di saggezza popolare è rimasta nel cuore e nelle menti dei catadores di Jardim Gramacho, i raccoglitori di rifiuti della discarica di Rio de Janeiro a cui è dedicato “Waste Land“, il film di Lucy Walker che ieri sera ha inaugurato la 14°edizione del Festival Cinemamabiente di Torino.
In realtà il film, candidato agli Oscar come miglior documentario, è un omaggio a Vik Muniz, l’artista brasiliano divenuto celebre nel mondo per i suoi ritratti: grandi set minuziosamente costruiti con materiali locali di recupero, che scompaiono dopo essere stati immortalati in fotografia. Ma Vik, giunto a Jardim Gramacho con un progetto artistico ben preciso in mente, sembra diventare, nel corso del film, un tuttuno umanamente inseparabile con la gente della più grande discarica del mondo.
Le opere che ne usciranno saranno un capolavoro. E se l’essenza dell’opera d’arte, come diceva Heidegger, è la capacità di aprire un mondo, svelare la verità dell’essere nascosta nella quotidianità, allora anche “Waste land” è un assoluto, fantastico capolavoro – toccante nella sua dimensione brutalmente umana e illuminante per la capacità, più di ogni altra opera che io abbia conosciuto, di comunicare la drammaticità di un problema, quello della produzione incontrollata di rifiuti, ormai insostenibile a livello planetario.
Guardando “Waste land” ci si commuove, per le storie del giovane e ingenuo visionario Tiao, della fragile Isis, dell’inaffondabile Suelem e dei loro amici, personaggi tragici ma veri, colti in tutta la loro complessità emotiva, tra un sorriso inaspettato e le lacrime del crollo psicologico. Si impara anche a non lamentarsi per quello che si ha, ma semmai a reagire per cambiare. Ma, per ultimo, si prova rabbia e dolore, di fronte alla rappresentazione di condizioni umane e ambientali inaccettabili per qualsiasi paese che voglia dirsi “civile“.
La grandezza di Vik Muniz emerge infatti, più che nei ritratti che creerà coinvolgendo i suoi catadores (il mezzo), nel restituire loro un futuro, una nuova prospettiva da cui ripartire (il fine).
Fantastiche, infine, le musiche di Moby che accompagnano il film. E una scena su tutte: quella di Tiao e amici che “analizzano”, meglio di profiler dell’FBI, le tipologie di monnezza per risalire al proprietario. Della serie dimmi cosa butti e ti dirò chi sei. ”I poveri – conclude amaramente Tiao - hanno sacchetti della spazzatura più piccoli“.
Andrea Gandiglio