“Just eat it”: una storia di spreco alimentare
Nell’anno dedicato alla prevenzione dello spreco alimentare in Italia, e mentre in Europa si discute se eliminare la data di scadenza per alcuni tipi di alimenti, la proiezione del film Just eat it nell’ambito del Festival Cinemambiente non poteva essere più tempestiva. Il documentario, firmato da Jen Rustemeyer e Grant Baldwin, racconta la loro esperienza di coppia impegnata per sei mesi a vivere di solo cibo scartato, ovvero di quel cibo confezionato prossimo alla scadenza che viene sistematicamente buttato dai supermercati oppure di quel cibo fresco che rimane invenduto al mercato perché esteticamente meno perfetto. L’esperimento si dimostra piuttosto sorprendente: circa 200 dollari di spesa in sei mesi.
Il documentario mette il dito in una grossa piaga, quello dello spreco alimentare, che a macchia d’olio coinvolge ben altri sprechi, da quello idrico a quello energetico, passando per la rete dei trasporti fino al mero danno economico. Mediante una formula cinematografica divertente e accattivante, Grant Baldwin alterna le sue vicende di cercatore di cibo alle interviste a figure di rilievo nell’ambito di questa tematica: Dana Gunders, Project Scientist nel settore Food & Agriculture presso il Natural Resources Defense Council di San Francisco, autrice del report “Wasted: How America is Losing Up to 40% of Its Food from Farm to Fork to Landfill”; Jonathan Bloom, giornalista e autore del libro American Wasteland; Tristram Stuart, scrittore e attivista, vincitore del premio ambientale internazionale Sophie Prize nel 2011 per il suo impegno contro lo spreco.
Una storia semplice che diventa lo specchio di una realtà da cui risultano evidenti grandi falle nel sistema alimentare nord-americano, riconoscibili tuttavia anche in altri paesi. Si parte dal sistema produttivo, che fornisce più cibo di quello che effettivamente si consuma. Si continua con il sistema distributivo, che vede i supermercati obbligati a disfarsi dei prodotti prossimi alla scadenza per quanto siano ancora integri e commestibili. Si finisce con la cultura del consumatore, abituato a scegliere prodotti esteticamente perfetti e a considerare lo spreco alimentare come qualcosa di lecito e senza conseguenze.
Ancora una volta, tutto parte da un meccanismo economico viziato che porta i paesi sviluppati a produrre più di quel che riescono a consumare privando di risorse quelle popolazioni che invece non hanno le stesse possibilità. Il progetto di Jen e Grant dimostra che basterebbe abbattere gli ostacoli culturali per creare una nuova sensibilità e una nuova consapevolezza. Solo grazie a questo cambiamento – che alcuni stanno iniziando a mettere in atto – è ipotizzabile una nuova gestione delle risorse che non solo permetterebbe una loro migliore distribuzione a livello globale, ma risulterebbe anche più vantaggiosa economicamente.
Daniela Falchero