RHEA: la flotta di robot agricoli per ridurre i fitofarmaci
Le piante infestanti sono uno dei maggiori problemi per chi vive di agricoltura. Per questo, tra le sostanze usate a supporto delle coltivazioni “tradizionali”, il 70% è costituito da erbicidi. Tanto che la proposta per la nuova PAC, prendendo atto di questa tendenza, ha inteso istituire, da qui al 2020, premi per l’agricoltura integrata e biologica. Lo conferma il professor Andrea Peruzzi, professore di Meccanica Agraria dell’Università di Pisa, che aggiunge: “Con la nuova PAC si è acquisita la consapevolezza dell’eccessivo ed inefficiente uso dei fitofarmaci in agricoltura. Inoltre, dal 2015, anche in aree assimilate a quelle agricole, come le aree verdi pubbliche e i tappeti erbosi, sarà vietato l’uso di prodotti fito-sanitari”.
Peruzzi – un’esperienza ventennale nella meccanica agraria – insieme alla sua équipe ha all’attivo anche diversi brevetti di macchinari, utilizzati in tutto il mondo, per l’agricoltura biologica. Non è un caso, dunque, che già dal 2008 sia stato contattato per la fase preliminare del progetto europeo RHEA (Robot fleets for Higly Effective Agriculture and forestry management). “Si tratta di un progetto quadriennale”, spiega Peruzzi, “partito effettivamente nel 2010, che punta alla realizzazione di una flotta di robot per la gestione sostenibile e mirata delle colture agrarie, con l’obiettivo di ridurre del 75%, rispetto alla situazione attuale, l’uso dei fitofarmaci chimici di sintesi”. Riuscirà la meccanica agraria, grazie ad un esercito di robot dal pollice verde, a dare un contributo allo sviluppo dell’agricoltura biologica ?
Sarebbe ovviamente auspicabile. Anche perché, stando a quanto confermato dal professor Peruzzi (e alle recenti indagini della Procura di Torino) la pericolosità di alcune sostanze è ormai nota: “Alcune”, conferma il professore, “sono ad azione biocida pressoché totale e possono provocare intossicazioni acute, anche gravi, nonché essere cancerogene per uomini e animali”. “Alcuni medici – continua Peruzzi – hanno ipotizzato anche il legame tra l’utilizzo di agrofarmaci e l’insorgenza della SLA, la Sclerosi Laterale Amiotrofica, nota alle cronache per aver colpito alcuni sportivi – in Italia calciatori, in America, ad esempio, giocatori di football – che frequentano i tappeti erbosi.
Il progetto RHEA si inserisce a pieno titolo, dunque, nell’alveo delle politiche nazionali e comunitarie per l’incentivo dell’agricoltura biologica, nonché a vantaggio della salute. “Il progetto”, continua il professore “ha una dotazione economica di circa 10 milioni di euro e coinvolge, oltre all’Università di Pisa, altri 14 partners europei, tra atenei, centri di ricerca, società spin-off e ditte private. Il Centro Interdipartimentale di Ricerche Agro-Ambientali e il Dipartimento di Agronomia e Gestione dell’Agroecosistema dell’Università di Pisa riceveranno 400 mila euro in 4 anni e si occuperanno, in particolar modo, della realizzazione e dello sviluppo di una unità operatrice autonoma per il controllo delle infestanti del mais, del frumento e dell’olivo, le tre colture più diffuse su scala mondiale. I trattamenti eseguiti saranno di tipo fisico, meccanico e termico (pirodiserbo).
L’unità operatrice sarà composta di unità volanti, i droni, e di robot a terra. I droni, robot aerei a 6 eliche di 2,5 metri di diametro, sono prodotti appositamente da una azienda tedesca e possono portare un peso di 2 kg. Saranno equipaggiati con una fotocamera e con un sistema GPS. I droni, infatti, faranno il sopralluogo aereo, individuando le zone in cui le malerbe sono più diffuse, e invieranno le informazioni, tramite un apposito software, alle tre unità che interverranno a terra in maniera mirata, solo dove ce ne sarà bisogno. Il software, tuttavia, consentirà di programmare gli interventi anche in base alle conoscenze pregresse quali, ad esempio, precedenti rilievi fotografici ma anche le conoscenze e l’esperienza dell’agricoltore. I robot terrestri, anch’essi equipaggiati con GPS e fotocamere, entreranno in azione per operare su tre diversi scenari: il diserbo del frumento, quello del mais e la distribuzione di insetticidi sull’olivo. I robot terrestri, inoltre, di fatto dei piccoli trattori senza cabina in grado di ruotare su se stessi, sono alimentati con celle di combustibile ad idrogeno e sfruttano anche l’energia solare grazie a pannelli fotovoltaici. Per poter operare, infatti, hanno bisogno di una potenza di almeno 5 kW di energia elettrica, completamente autoprodotta. In tutte queste operazioni il ruolo umano sarebbe di semplice controllo: un operatore, all’interno di una postazione di controllo, sovrintende da remoto, tramite pc, alle operazioni, intervenendo soltanto in caso di anomalie o malfunzionamenti.
Lo sviluppo sostenibile dell’agricoltura del futuro, sembra dunque basarsi su un mix di conoscenze e competenze diverse: ingegneria elettronica, robotica, informatica, agronomia, meccanica agraria e telecomunicazioni. “E’ un filone di ricerca – conclude Andrea Peruzzi – su cui, negli ultimi anni, sta puntando molto anche l’Unione Europea: macchine tecnologicamente avanzate per una gestione sostenibile dell’agroecosistema. Il progetto RHEA rappresenta una proposta concreta di applicazione dell’agricoltura di precisione alla difesa dei vegetali, con l’obiettivo di ridurre sensibilmente l’impiego di agrofarmaci”.
Andrea Marchetti