Nasce UPBIO, un più per il mondo del bio
Qualcuno, per benedire la nuova creatura, cita San Francesco. Il santo disse: «Chi lavora con le mani e la testa è un artigiano, chi lavora con le mani, la testa e il cuore è un artista». E in quest’ultimo gruppo, rientrano a buon diritto anche gli agricoltori.
Siamo a Roma, nel giorno della nascita dell’Unione nazionale Produttori Biologici e Biodinamici, in seno a Federbio. Cinque associazioni nazionali, 11 regionali e 14 Organizzazioni di produttori danno vita a un’associazione che rappresenterà quasi 20.000 aziende biologiche e biodinamiche, circa la metà degli operatori del settore. Un rafforzamento della sezione produttori della Federazione, che raccoglie anche operatori di altri segmenti della filiera (trasformazione, distribuzione, certificazione, tutela). Lo scopo primario, spiega Ignazio Cirronis, coordinatore della sezione Soci Produttori di Federbio, è «dare voce diretta e univoca al mondo produttivo biologico aggregando le diverse organizzazioni e associazioni, che fino ad oggi hanno agito in ordine sparso».
Alla prima assemblea, prendono la parola tanti produttori delle diverse regioni d’Italia. Molti sono volti storici del nostro biologico, come Bruno Sebastianelli, presidente della cooperativa La terra e il cielo di Piticchio (Ancona), nata nel 1980. «La cooperativa è formata da una trentina di aziende. Produciamo, trasformiamo e commercializziamo i nostri prodotti, soprattutto a base di cereali, cercando di salvaguardare il reddito degli agricoltori», racconta. Angelo Minisci è a capo di un gruppo di aziende biologiche in Calabria e ha creato il marchio Biosybaris, con cui commercializza clementine Igp, frutta e ortaggi. «Esportiamo in Usa, Canada, Inghilterra e Nord Europa, e stiamo cercando di arrivare in Giappone. Mi piacerebbe creare un’organizzazione di produttori per esportare all’estero le eccellenze italiane biologiche». Giulietta Mulini, invece, è la giovane titolare dell’Azienda Cresta del Pino Solitario di Fosdinovo (Massa Carrara), e presidente dell’Asssociazione Crisperla, di cui «fanno parte – spiega – anche una cooperativa che fa pesca sostenibile e una che lavora il pesce per fare prodotti biologici. Lavoriamo soprattutto nelle aree marginali e di montagna, e ci aspettiamo da Upbio una maggiore attenzione ai piccoli produttori».
Cirronis spiega, punto per punto, la strategia di Upbio, il piano d’attacco per valorizzare al meglio una tendenza di costante aumento dei consumi biologici, «che crescono a doppia cifra anche nel periodo di crisi in cui ci troviamo». I nodi da affrontare sono tanti, e partono proprio dagli ostacoli che gli operatori si trovano a dover superare ogni giorno: l’eccessiva burocrazia («impegna quasi mezza annata di lavoro»), gli «eco furbi» e la concorrenza sleale «di chi produce falso bio e di chi produce bio in altre aree del pianeta, senza rispettare le stesse regole». Le azioni da intraprendere sono tante: sburocratizzare, creare «un logo del biologico italiano, in modo da comunicare in modo trasparente ai consumatori l’origine dei prodotti», puntare sulla multifunzionalità, omogeneizzare gli standard di qualità, intervenire nel dibattito sui Piani di Sviluppo Rurale, di competenza regionale. A tutto questo si aggiungono altri due temi, cari ai produttori: il credito e la filiera corta. «Dobbiamo chiederci perché il numero delle aziende non cresce più. Firmeremo un accordo con Banca Etica per sostenere anche le aziende in fase di conversione, gli anni più difficili per un’azienda biologica», continua Cirronis. Per quanto riguarda invece le filiere a chilometro zero, c’è l’idea di «creare punti vendita nelle maggiori città italiane, gestiti direttamente dai produttori di Upbio», oltre a fare accordi anche con la grande distribuzione.
Gli agricoltori e le associazioni fanno le loro richieste. Chiedono aiuto nel dialogo con le istituzioni (a partire «dall’organizzazione di mercati contadini», insiste Giulietta Mulini) e fronte comune contro gli Ogm («se arrivano nel biologico siamo spacciati», chiosa Sergio Pascolo, friulano, titolare della prima azienda in Italia ad allevare galline con metodo biologico). Ivo Bertaina, presidente di Agribio Piemonte e grande conoscitore del settore, dice che si impegnerà per «aumentare la qualità delle sementi e perché ci sia più ricerca sui preparati biodinamici». Poi si accende la polemica sugli organismi di certificazione: «Non tutti – concordano gli agricoltori – lavorano con la stessa serietà. Ce ne sono alcuni che si avvalgono di tecnici inesperti, pagati appena 40 euro per azienda». E anche sulla strada da seguire non ci sono dubbi: «Valorizzare il biologico autentico, a scapito di quello falso e di quello fatto solo per i contributi».
Veronica Ulivieri