Investi verde – in America
I tempi cambiano e la crisi disegna nuovi scenari globali di investimento. Se fino a dieci anni fa investire negli Stati Uniti, per una PMI italiana sarebbe stata fantascienza, oggi non è più così. E gli USA – dopo decenni di flusso contrario e acquisizioni in Europa - sembrano ritornare quell’Eldorado che, in fondo, non hanno mai smesso di essere nell’immaginario collettivo trasmesso dai nostri emigranti.
E’di martedì, ad esempio, la notizia dell’inaugurazione, nel New Jersey, di MX Solar USA, nuova filiale americana dell’omonimo gruppo brianzolo che produce moduli fotovoltaici.
Ne abbiamo parlato con Aaron Brickman, direttore di Invest in America, in Italia per presentare le opportunità offerte dall’agenzia governativa a cui il Dipartimento americano per il Commercio ha affidato la promozione degli IDE (Investimenti Diretti Esteri).
D) Mr. Brickman cos’è cambiato in questi ultimi anni da rendere così attraente il suolo americano per le aziende europee impegnate nella green economy?
R) E’innanzitutto mutata la consapevolezza delle imprese europee, che hanno realizzato concretamente quali opportunità commerciali possa offrire il mercato americano. Certo, c’è sempre stato, negli Stati Uniti, un mercato delle cosiddette clean technologies, ma in termini numerici, sul totale della nostra economia, non è mai stato, prima d’ora, significativo quanto avrebbe dovuto e potuto essere. E non parlo solamente di tecnologie per l’efficienza energetica e fonti rinnovabili. C’è stata una forte accelerazione negli ultimi 5 anni, e in particolare negli ultimi due, grazie a importanti provvedimenti dell’amministrazione Obama, sostenuti da programmi e incentivi a livello federale, che si sono aggiunti ad altri esistenti, da lungo tempo, a livello statale e locale. In particolare il “pacchetto” di interventi contenuti nel Recovery and Reinvestment Act del 2009 ha galvanizzato l’attenzione delle imprese intorno a un programma pluriennale in grado di creare le condizioni di business per decisioni e investimenti a lungo termine. Ecco perchè stiamo assistendo al fenomeno di aziende spagnole, danesi, giapponesi e tedesche – per citare solo alcuni paesi – attive principalmente nel settore eolico o solare che, dopo aver insediato stabilimenti produttivi negli USA, stanno diventando marchi globali noti anche al grande pubblico. D’altro canto gli Stati Uniti sono divenuti consapevoli che per centrare gli obiettivi dell’amministrazione sulle rinnovabili, non possono andare avanti con le sole forze proprie, ma devono accogliere il contributo, l’esperienza e le tecnologie di aziende internazionali. In questo senso, secondo gli studi di Ernst & Young, gli USA sono diventati, al momento, il business environment più attraente al mondo.
D) Mentre parliamo però (l’intervista è del 2 dicembre scorso, N.d.R.) a Bruxelles si sta tenendo un meeting dal titolo “Doing Business with China” in cui si discute di “crescita verde”. Cosa possono offrire gli USA, alle imprese europee, per contrastare la concorrenza cinese basata su costi di manodopera imbattibili?
R) Credo che quest’ultimo sia un assunto sbagliato. Per un’azienda che stia facendo i primi passi per diventare globale la Cina è un mercato piuttosto complesso da affrontare. Gli Stati Uniti sono sicuramente un mercato più ampio e sofisticato, ma anche molto più trasparente e sicuro, che da 200 anni ospita innovazione e casi di successo. Questo ovviamente influisce nella valutazione del rischio da parte delle imprese. Tornando al tema dei costi le posso citare numerosi casi di imprese americane che, dopo aver delocalizzato, sono tornate a produrre negli Stati Uniti. Il costo reale di fare business in Cina non è infatti quello che viene pubblicizzato. Innanzitutto in alcue zone i costi manifatturieri, com’è normale, sono saliti, ma soprattutto, ci sono dei costi “nascosti” o imprevedibili, che riducono la convenienza dell’investimento. Chi vorrà analizzare per bene le opportunità offerte dal mercato americano rimarrà invece piacevolmente sorpreso: le aziende straniere che investono nel nostro paese vengono infatti trattate, a tutti gli effetti, come fossero aziende americane.
D) Quali sono oggi i paesi europei che più hanno investito negli Stati Uniti, negli ultimi anni, traendo vantaggio da queste nuove opportunità?
R) A livello generale sicuramente la Gran Bretagna (stiamo parlando di 500 miliardi di dollari). Se ci limitiamo invece alla green economy, ancora il Regno Unito, ma poi la Francia, la Germania e anche l’Italia. E la Spagna per quanto riguarda l’eolico e il solare. Ma ci sono ancora enormi opportunità, non solo per le grandi aziende, ma soprattutto per quelle PMI che hanno sviluppato nuove tecnologie in grado di inserirsi nella catena di forniture degli operatori già presenti.
D) C’è un settore particolarmente incentivato?
R) Il solare fotovoltaico e l’eolico possono godere di buoni incentivi a livello federale, statale e locale, ma l’assegnazione di incentivi non è automatica e viene valutata caso per caso. Ciò che ritengo invece fondamentale per le imprese sono le opportunità di mercato e la possibilità di essere parte di un cluster, un distretto produttivo già strutturato, che consente di essere vicini ai propri partners (o anche competitors), ai propri potenziali clienti, alle università e ai centri di ricerca. In questo senso gli incentivi dovrebbero essere “l’ultimo dei pensieri” e non l’unica molla di una decisione di investimento all’estero. Non si tratta infatti di una decisione per pochi anni, ma sul lungo termine.
D) Mi risulta che il green building, l’edilizia sostenibile, sia uno dei settori più promettenti negli Stati Uniti, che ha già attratto da tempo aziende italiane come Mapei, divenuta leader nei materiali da costruzione a ridotto impatto ambientale, e Italcementi. E’frutto anche delle nuove leggi che obbligano gli edifici pubblici a ridurre il proprio consumo energetico e degli standard richiesti da certificazioni, sempre più note, come LEED?
R) Sì, sicuramente è un settore oggi trainante che beneficia della regolamentazione introdotta, sia per le nuove costruzioni, che per i materiali e le ristrutturazioni. Il principio guida è quello di integrare le fonti rinnovabili e lavorare sull’efficienza energetica. Mi sento di incoraggiare, a questo proposito, altre aziende italiane, anche piccole e medie, a valutare investimenti negli Stati Uniti in questo settore.
D) Per quanto riguarda invece altri settori come l’automobile , il food e la moda, in cui l’Italia è tradizionalmente forte e nota all’estero, mi sembra che si potrebbero prospettare interessanti sviluppi riguardanti la mobilità elettrica, il cibo biologico e la moda sostenibile - tenendo conto che il Texas è uno dei maggiori produttori al mondo di cotone organico. E’d'accordo con queste considerazioni?
R) Parlando di mobilità elettrica, è significativo che il presidente Obama abbia voluto fare visita, all’inizio di quest’anno, ad uno stabilimento in Michigan, in cui si producono batterie al litio di nuova generazione, la Compact Power della coreana LG, altro caso di successo estero negli Stati Uniti. A questo proposito bisogna ricordare che molta della ricerca sulle tecnologie più avanzate per l’auto elettrica viene svolta qui. Per quanto riguarda il fashion credo sia superfluo dire quanto gli americani amino la moda italiana, che è parte dell’immagine che gli Stati Uniti hanno dell’Italia – insieme al cibo. Un “matrimonio” tra i due paesi in questi settori andrebbe analizzato sulla base di dati che in questo momento non ho a disposizione, ma non potrebbe che dare buoni frutti.
Andrea Gandiglio