Il futuro dell’energia riparte dalla fotosintesi
Per fare fronte alla crisi energetica, climatica, ambientale e alla scarsità di risorse rimaste al mondo per la nostra sopravvivenza, alcuni parlano di rallentare, di fermarsi o addirittura di tornare indietro. Magari copiando la natura, manifestazione di un sistema perfetto e di grande equilibrio. Questo è il concetto che sta alla base della riflessione che Elio Giamello, docente all’ Università di Torino, ha esposto durante l’ultimo appuntamento con “I Mercoledì dell’Accademia” (il calendario di incontri scientifici e di approfondimento organizzati dall’Accademia delle Scienze di Torino), dal titolo “La chimica insegue la natura: quali prospettive per la fotosintesi artificiale?”.
“La fotosintesi clorofilliana è comparsa sulla terra circa 2,5 miliardi di anni fa, commenta Giamello, e da allora gli organismi viventi hanno imparato a catturare energia dal sole, fonte primaria dell’energia che il pianeta ha usato e usa (per esempio con i combustibili fossili). Le energie rinnovabili del futuro dovranno attingere ancora e principalmente dall’energia del sole”. Il sole, che in un’ora fornisce al pianeta energia sufficiente a coprire i consumi di un anno.
Ma facciamo un passo indietro per capire il processo “intelligente” della natura, che viene poi “squilibrato” dall’azione umana. “La CO2 non è un inquinante”, continua il docente, e la sua concentrazione nell’aria è frutto di un processo naturale che ne determina l’equilibrio tra consumo (fotosintesi di piante e organismi acquatici, attraverso la quale la CO2 viene trasformata in zuccheri, O2 e energia chimica immagazzinata nelle sostanze delle piante) e emissione (respirazione e decomposizione). Questo equilibrio si è rotto nel momento in cui, dalla rivoluzione industriale in avanti, gli uomini hanno rimesso in circolo e liberato l’anidride carbonica immagazzinata, mettendo mano al patrimonio energetico presente nel sottosuolo e bruciando i combustibili fossili. Da questa alterazione deriva l’effetto serra, il conseguente innalzamento della temperatura e le variazioni climatiche che, quotidianamente, viviamo ad ogni latitudine.
Ma sono diversi i problemi legati al consumo intensivo dei fossili: l’inquinamento e il riscaldamento globale, ma anche la riduzione progressiva delle riserve e la riduzione dell’accessibilità e della velocità estrattiva. Per questi motivi è necessario ridurre la produzione di energia da queste fonti e trovare un’alternativa per immagazzinare energia smart e in modo sostenibile: perché, magari, non copiando una foglia?
“La fotosintesi - spiega Giamello - utilizza sostanze a basso contenuto energetico facilmente reperibili (anidride carbonica e acqua) e le trasforma in sostanze ad alto contenuto energetico. Il tutto è basato sull’azione foto-catalitica che ha luogo nei cloroplasti della foglia”. È stato Giacomo Ciamician, professore all’Università di Bologna agli inizi del Novecento (e oggi il dipartimento di Chimica porta il suo nome), uno dei primi a pronosticare il ritorno all’energia solare, “padroneggiando i processi fotochimici che finora sono stati il segreto custodito delle piante”. E il ciclo delle piante, la fotosintesi artificiale, è ormai stata studiata e capita perfettamente dalla scienza, che però non è ancora riuscita a riprodurla per produrre combustibili artificiali mediante la conversione diretta dell’energia solare: l’utopia di Ciamician, la fotosintesi, artificiale è una delle sfide più attuali della ricerca scientifica per far fronte alla crisi energetica e climatica.
Due gli obiettivi principali, oltre al limitare le emissioni di CO2 e di consumo di fossili: “Realizzare sistemi accessibili in termini di costi e praticità e disporre di forme di energia immagazzinata e trasportabile, visto che il problema principale dell’odierna produzione elettrica è che non è immagazzinabile. Questo comporta la necessità di consumare istantaneamente l’energia prodotta, mentre le fonti rinnovabili sono intermittenti e soggette a cicli atmosferici”, continua il docente. La fotosintesi artificiale si differenzia dai pannelli solari in silicio, e dai generatori elettrici in generale, proprio perché permette di raccogliere l’energia in un vettore, liquido o gas, pronta per essere utilizzata al bisogno; secondo target è realizzare sistemi accessibili in termini di costi e praticità.
Cosa succede a livello biochimico con la fotosintesi? La luce solare viene assorbita dalle foglie e immagazzinata nei legami chimici delle molecole (zuccheri) che vengono sintetizzate. Attraverso un sistema organizzato di molecole di clorofilla il contenuto energetico della radiazione solare si trasforma in energia chimica (elettronica). L’energia è canalizzata, come da un’antenna, ed è utilizzata per “trasferire un elettrone da una molecola a un’altra vicina; si tratta di una reazione di separazione di carica, che porta alla formazione di una molecola ossidata e di una molecola ridotta”. A seguito di processi complessi, dal lato della carica positiva verrà utilizzata dell’acqua e prodotto ossigeno; e dal lato della carica negativa verrà utilizzata CO2 e saranno prodotti carboidrati e altri composti.
La fotosintesi artificiale “comprende, spiega Giamello, i processi sintetici che usano la luce sia per la trasformazione della CO2 in combustibili (metano, metanolo..), che per la scissione dell’acqua in idrogeno e ossigeno”. Quindi serve un catalizzatore per l’ossidazione dell’acqua, che fornisce elettroni e produce ossigeno; un’antenna che, come la clorofilla in natura, assorbe luce e genera elettroni eccitati da mettere in circolo; un catalizzatore per la riduzione e produzione di idrogeno come combustibile. Proprio sull’antenna artificiale si stanno concentrando i ricercatori, individuando precisi semiconduttori solidi, o analizzando sistemi molecolari o supramolecolari capaci di assorbire luce e di generare una separazione di carica con buona efficienza. Il problema sta nel trovare catalizzatori multielettronici capaci di accoppiare il processo fotochimico di separazione di carica alla generazione di idrogeno e ossigeno dall’acqua. I catalizzatori migliori fino ad oggi individuati sembrano essere materiali molto costosi come il platino colloidale e l’ossido di rutenio colloidale per la reazione rispettivamente dell’idrogeno e dell’ossigeno; ma alcuni studi stanno dimostrando che altri metalli meno costosi come cobalto e ioni fosfato possono svolgere la stessa funzione.
Una soluzione alternativa che diventa ogni giorno più prioritaria; ed è la stessa Unione Europea ad invitare gli stati membri a procedere con le sperimentazioni e le ricerche, orientando e incentivando i governi verso politiche più sostenibili e fornendo alcune guide linea con la redazione del “Libro Bianco sulle strategie di ricerca e sviluppo dell’energia solare” a cura della Fondazione europea per la scienza. E il rapporto di una commissione di esperti Ue, dal titolo “Forward Looking Workshop on Materials for Emerging Energy Technologies“, ha ribadito l’importanza dell’energia creata dal processo di fotosintesi artificiale.
In Europa è la Germania -segue l’Olanda- il Paese che investe di più sulla ricerca energetica, a pari passo con colossi internazionali come USA e Giappone. Se la Francia, a Sud, emerge per la produzione di idrogeno solare, il resto della ricerca energetica è mappata in Nord Europa: in Finlandia si studiano le bioenergie; in Svezia i biocombustibili solari; in Ungheria da oltre vent’anni si studia l’ossidazione dell’acqua per produrre idrogeno. Eppure al Sud il sole è più forte: ma Italia e Spagna sembrano non essersene accorte.
Alfonsa Sabatino