O&M, il nuovo mercato della manutenzione e fine vita degli impianti fotovoltaici
L’Italia, con 550.000 impianti fotovoltaici installati (per una potenza pari a 18 GW) e oltre 90 milioni di moduli posati, inizia a fare i conti con il problema della manutenzione per gestire l’efficienza e aumentare le prestazioni degli impianti. Prende dunque piede, anche nel nostro Paese, il business dei servizi O&M, Operation&Mainteinance, ovvero la manutenzione degli impianti già esistenti.
Nel 2013 in Italia i servizi O&M hanno determinato un volume d’affari di 358 milioni di euro. La parte più consistente del mercato è rappresentata dai grandi impianti tra 500 kW e 1 MW (circa il 60% del volume totale). Per questi servizi, l’Italia costituisce un terreno di affari appetibile, basti pensare che nel 2012 circa 1,6 GW di impianti installati tra il 2009 e il 2010 ha superato la scadenza dei due anni di garanzia; 5GW sono andati oltre nel 2013 e per quest’anno saranno altri 2 GW gli impianti da manutenere. Finora, il 2013 ha rappresentato l’anno in cui lo stock più ampio di impianti ha raggiunto il termine del periodo della garanzia contrattuale.
A innescare questo nuovo business nel nostro Paese sono state due cause, secondo il Solar Energy Report redatto dall’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano: da una parte la contrazione del mercato dei grandi impianti e delle centrali, rispettivamente in calo del 40 e dell’87% e il raggiungimento, da parte di uno stock considerevole di impianti installati nel corso degli anni scorsi, della scadenza degli anni di contratto di assistenza normalmente sottoscritto con il soggetto che ha curato lo sviluppo e l’installazione dell’impianto.
A margine (e al termine) dei servizi O&M esiste poi la questione dello smaltimento dei moduli. Con i decreti ministeriali del 5 maggio 2011 e del 5 luglio 2012, si impone al produttore o all’importatore la responsabilità di smaltimento a fine vita del prodotto (norma valida per gli impianti in esercizio dal 1° luglio 2012) tramite un certificato, attestante l’adesione del medesimo a un Sistema o Consorzio europeo che garantisca il riciclo dei moduli al termine della loro vita utile. Tale certificato andrà inoltre inviato dal soggetto responsabile dell’impianto al GSE per poter beneficiare delle tariffe incentivanti. Inoltre, il Decreto Legislativo 49/2014, in recepimento della Direttiva Europea 19/2012 ha esteso ai pannelli fotovoltaici le regole che valgono da tempo per la gestione dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE). Produttori, importatori e rivenditori sono quindi ora tenuti a finanziare e organizzare la raccolta dei moduli fotovoltaici da “rottamare” e il loro conferimento in strutture attrezzate per separare le componenti riciclabili da quelle da smaltire in sicurezza perché nocive o dannose per l’ambiente.
Il pannello fotovoltaico è infatti riciclabile per l’80%, in quanto composto da celle realizzate con silicio cristallino, policristallino o amorfo, sigillate tra due lastre di materiali plastici, di solito EVA (acetato vinil-etilenico) che le proteggono dall’umidità e dagli agenti atmosferici. Il tutto è ulteriormente inserito tra una lastra di vetro e una speciale pellicola protettiva composta di materiali polimeri e tedlar. Il tutto viene quindi scaldato in un forno a circa 100° C, procedimento che permette ai componenti di sigillarsi tra loro, mentre il foglio di EVA passa da traslucido a trasparente e l’aria residua interna viene eliminata. Silicio, vetro, rame e alluminio una volta separati sono facilmente riciclabili e utilizzabili per realizzare altri pannelli o oggetti di diversa natura. Il riciclo del pannello fotovoltaico permette di recuperare 15 kg di vetro (rivestimento, copertura del modulo, vetro di altissima qualità), 2,8 kg di plastica (supporto del modulo, viene riciclata in vasi o altro), 2 kg di alluminio (della cornice), 1 kg di polvere di silicio (celle fotovoltaiche vere e proprie) e 0,14 kg di rame (connessioni elettriche tra celle).
Il mercato economico che i principali operatori del fotovoltaico stimano in Italia, legato alla gestione del fine vita dei moduli, è di almeno 20 milioni di euro. Anche in questo caso, considerando una rete nazionale di dimensioni rilevanti, come quella italiana, che dovrà essere prima o poi trattata, si apre un nuovo mercato per il nostro Paese, anche se con tempi più dilatati rispetto ai servizi O&M. Prima del 2025 non è previsto infatti un volume di moduli dismessi significativo, poiché la vita di un impianto è di circa 20 anni e i primi a essere entrati in esercizio sono stati quelli del 2005. Per portarsi però, in tempi utili, nella posizione di poter competere con il mercato estero dello smaltimento, l’Italia dovrà essere in grado (almeno sulla carta) di individuare strutture dove depositare gli oltre 5 milioni di metri cubi di moduli che sono installati su tetti e terreni.
Marta Rossi