OGM e ricerca indipendente. Buiatti: il consenso della scienza non è affatto scontato
Dopo le “interviste parallele” a Deborah Piovan, di Confagricoltura, e Stefano Masini di Coldiretti, prosegue la nostra inchiesta sugli Organismi Geneticamente Modificati. Gli OGM fanno bene o male? È uno degli interrogativi più frequenti. Infrequente invece è cercare di ottenere una risposta che non sia di parte. Il problema è che con assoluta certezza pare non si possa sapere perchè, come afferma Marcello Buiatti, ordinario di Genetica all’ateneo di Firenze dal 1981, gli esseri viventi, siano essi piante, animali e uomini, “non sono macchinette”. Esperto a livello internazionale di analisi genetica e molecolare dei processi dinamici della vita (sviluppo ed evoluzione), autore di oltre 200 pubblicazioni in gran parte pubblicate su riviste internazionali, membro del comitato scientifico di CRIIGEN, Buiatti collabora anche con ENSEER, la rete europea di scienziati per la responsabilità sociale ed ambientale, che riunisce laboratori di ricerca indipendenti. Una rete piuttosto critica nei confronti dell’affermazione che “il mondo scientifico considera sicuri gli OGM”. Sono circa 300, infatti, gli scienziati che finora hanno sottoscritto il documento “No scientific consensus on GMO safety”. Quindi l’accordo della scienza, spesso contrapposto ai pregiudizi ideologici e agli isterismi degli ambientalisti, non esisterebbe, a quanto ci risulta. Per questa sua posizione, Buiatti, insieme ad altri scienziati della rete, si è visto, tra l’altro, negare il visto di ingresso in India, uno dei massimi produttori di cotone GM, dopo che il gruppo aveva dimostrato l’inattendibilità dei dati forniti dalle imprese produttrici sulla sicurezza di alcune piante. Perché il problema nella “ricerca scientifica” è proprio questo: qual è quella indipendente?
D) Prof. Buiatti, sia a livello scientifico che nell’opinione pubblica il dibattito sugli OGM è molto duro. Cosa ne pensa?
R) Lo trovo particolarmente brutto e non onesto, l’opinione pubblica si trova di fronte a un attacco concentrico. Molte delle firme più note che si dichiarano a favore degli OGM non hanno esperienza di cosa siano le piante GM in agricoltura. Penso alla senatrice Cattaneo, che si occupa di ricerca sulle staminali e sulle malattie neurodegenerative, a Veronesi, oncologo, a Corbellini, laureato in filosofia e storico della medicina, a Marco Cattaneo, direttore de Le Scienze, fisico di formazione e giornalista scientifico. Una situazione alquanto buffa. Dall’altra parte abbiamo l’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, che in base alle proprie linee guida non può usare laboratori indipendenti per le sue ricerche! Quando Monsanto, o chi per essa, vuole immettere nel mercato un suo prodotto, l’agenzia, che non ha nemmeno laboratori di ricerca propri, presenta una serie di domande tecniche sull’affidabilità dei prodotti alla stessa impresa, la quale risponde appoggiandosi a ricercatori di sua fiducia: su questi dati EFSA autorizza il prodotto. Una modalità assurda che non garantisce imparzialità, anzi. L’EPA, la Environmental Protection Agency americana, funziona più o meno nello stesso modo, mentre l’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel dibattito pro o contro OGM non ha mai voluto entrarci.
D) Ma quindi, gli OGM fanno bene o male alla salute umana?
R) La domanda è di per sé troppo limitata. La questione è che è difficile fare uno studio epidemiologico che garantisca al 100% una risposta certa, sia positiva che negativa, e questo non solo nell’ambito degli OGM ma anche ad esempio delle malattie dovute all’inquinamento sul luogo di lavoro. Questo tipo di ricerche prevede due corpi di studio con soggetti diversi che vivano nello stesso identico modo ad eccezione dell’elemento oggetto di indagine, ad esempio mangiare le stesse cose tolto cibo OGM e non OGM. Capiamo che è impossibile applicarlo sugli esseri umani. Negli Stati Uniti, dove gli OGM sono molto diffusi, è molto diffusa anche un’alimentazione non certo salutare di per sé, per questo ci si affida a cavie. È stato invece dimostrato un possibile pericolo sui topi con lo studio del francese Gilles- Éric Séralini, biologo molecolare e presidente del comitato scientifico di CRIIGEN (secondo la ricerca del gruppo di Séralini, “Long-term toxicity of a Roundup herbicide and a Roundup-tolerant genetically modified maize”, gli OGM a lungo andare provocherebbero tumori, NdR). Appena pubblicato lo studio ha subìto una pressione pesante sui giornali e sulle riviste scientifiche, tanto da essere ritirato. Il suo lavoro è stato da poco ripubblicato, senza sostanziali modifiche, sulla rivista Environmental Sciences Europe, dopo essere stato validato da un diverso gruppo di referee esperti del tema. Chi lo contestava, gli criticava di aver usato troppi pochi topi, il che è vero ma va detto però che il numero di topi è lo stesso usato dalle multinazionali che ottengono l’autorizzazione alla commercializzazione da parte dell’EFSA!
D) Anche in questo caso lo studio ha suscitato un grande dibattito nel mondo scientifico, con chi lo ha contestato nuovamente e chi, come l’ENSSER, ne ha salutato positivamente la sua ripubblicazione. Lei stesso è molto critico rispetto al glifosate, che secondo uno studio pubblicato da due ricercatori americani, Anthony Samsel e Stephanie Seneff, è anche connesso all’aumento della celiachia e in generale di intolleranze al glutine. Mentre un altro studio canadese pubblicato sulla rivista “Reproductive Toxicology” alcuni anni fa riferiva di tracce di pesticidi ed erbicidi associati al consumo di OGM in donne incinte e nei bambini che avevano in grembo. Ci spiega cos’è il glifosate e il suo rapporto con gli OGM?
R) Il glifosate è il principio attivo del Roundup, il diserbante più impiegato nelle piante GM e prodotto da Monsanto. Oltre al glifosate, il Roundup ha come componenti alcune sostanze cosiddette adiuvanti che permettono l’entrata del glifosate nella piante stesse. L’effetto sinergico dura circa 150 giorni, un tempo molto lungo. Uno studio eseguito su ratti e cellule umane ha dimostrato che l’uso combinato di glifosate e adiuvanti altera le membrane cellulari ed è perciò dannoso alla salute. Provoca danni anche alla flora batterica del terreno e alle micorrize.
D) Si può perciò dire che gli OGM sono pericolosi?
R) La questione è che gli esseri viventi non sono macchinette, ogni essere vivente è fatto da componenti che interagiscono tra loro e indirettamente in modo imprevedibile. Inserire un gene in un genoma che non lo aveva provocherà un cambiamento che non possiamo conoscere a priori. Con il mio gruppo di ricerca all’Università di Firenze abbiamo ad esempio inserito un gene di ratto per il recettore di glucocorticoidi in una varietà di pianta simile al tabacco pensando che in questo caso non ci fossero effetti secondari imprevisti, ma non è stato così: è cambiato totalmente il sistema ormonale della pianta modificata e con esso la capacità della pianta di resistere a stress. Oltretutto la tecnologia degli OGM è vecchia, risale agli anni Ottanta del Novecento… Dall’altro lato l’aumento di coltivazioni OGM sul pianeta ci ha fatto perdere variabilità genetica di cui abbiamo, e avremo, sempre più bisogno per contrastare i cambiamenti climatici. Si stima una perdita dell’80% della biodiversità mondiale. E un’altra balla è che con gli OGM si utilizzano meno insetticidi. In India e in misura minore in Cina si è visto che l’uso del cotone geneticamente modificato ha sì eliminato il cosiddetto “verme del boccio”, il cotton bollworm, ma sopprimendo il principale parassita del cotone ha provocato, secondo un meccanismo noto a qualsiasi genetista, la prolificazione di attacco al cotone da parte di 150 specie diverse di insetti un tempo non pericolosi che non hanno più avuto concorrenza, costringendo gli agricoltori a usare più pesticidi di prima. Le colture GM sono fallimentari dal punto di vista agronomico. Per questo, nonostante siano passati molti anni dalla prima pianta GM, le colture biotech sono ancora solo quattro: mais, soia, colza e cotone. Nessuna multinazionale fa più ricerca da almeno dieci anni perché vive sulle royalties e sui brevetti di queste quattro piante biotech, finanziariamente produttive solo per le multinazionali.
Alessandra Sgarbossa
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