Georg Emprechtinger: a capo di un plotone di ingegneri e designer, per domare il legno
Pochi soldi e sette bocche da sfamare, che fare? Quando Erwin Berghammer si pose, nel 1959, questo attualissimo interrogativo, trovò la soluzione nel “fare squadra” e fondare, a Ried, ai piedi delle Alpi salisburghesi, in Austria, una piccola falegnameria per la produzione di mobili, Team7 – in omaggio ai sette componenti della sua famiglia, ma anche alle sette essenze di legno utilizzate. Nel 1980 un’altra scelta determinante per il futuro dell’azienda: diventare pionieri nella produzione di mobili “ecologici”, in legno massello, trattato unicamente con procedimenti naturali. E poi ancora, nel 1999, il dilemma stilistico: restare fedeli all’impronta “rustica” delle origini o produrre arredamento “di design”? Oggi, grazie a questi tre momenti di crisi e alle ricette, di volta in volta, individuate dal management (fare squadra, puntare sulla sostenibilità e realizzare oggetti di design), Team7 fattura 79 milioni di euro, esporta in 30 paesi del mondo e riceve tra i 700 e i 1.000 ordini a settimana (+2% anche nel 2012, nonostante la pesantissima crisi del settore).
Raccontarlo, però, è certo più facile che farlo e Georg Emprechtinger, il nuovo proprietario e amministratore delegato – che nel 2006 ha definitivamente ricevuto, dal fondatore, le chiavi dell’azienda, dopo averla gestita per anni come general manager – non nasconde le difficoltà incontrate lungo il cammino e gli impegnativi momenti di scelta che hanno accompagnato la crescita dell’azienda. Lo abbiamo incontrato a Concorezzo, nel distretto brianzolo del mobile, dove da pochi giorni ha inaugurato, in collaborazione con Archilogo, un nuovo punto vendita per servire l’area milanese, che si aggiunge a una selezionatissima lista di distributori italiani, accomunati da una visione “green” del mobile, ancora molto pionieristica nel nostro Paese: Biogriva a Pinerolo (TO), Corti Progetto Natura a Treviglio (BG), la Bottega del Legno a Brescia, Grigiante Casa Bio a Dueville (VI), Nat – Arredare con la Natura a Trieste, Boiserie Riva a Roma. Tutti convinti che il futuro del mobile sia lungo la strada della sostenibilità ambientale tracciata da Team7, una sostenibilità, però, non austera, ma sposata alla salubrità e alla bellezza, che ricorda la recentissima dichiarazione di un altro austriaco (segno di un ritorno dell’Austria felix?), l’ex governatore della California, Arnold Schwarzenegger, secondo il quale l’ambientalismo e la green economy, se vogliono “ispirare il mondo”, devono adottare “un nuovo stile, più sexy, più trendy“. Ecco, quello di Team7 sicuramente lo è.
D) Dott. Emprechtinger, come sintetizzerebbe il caso di successo di Team7?
R) Negli anni ’80 Erwin Berghammer, il fondatore, decise di convertire la produzione di mobili esclusivamente al “biologico” (organic, NdR), che per lui significava: legno massello, invecchiato, non trattato, sostenibile, durevole. Erwin era solito ripetere che un mobile deve durare almeno quanto l’albero ha impiegato a crescere. La sua filosofia (adottata a tutt’oggi) prevedeva inoltre di non usare materiali o componenti sintetici nocivi per la salute umana – come la formaldeide – ma unicamente colle all’acqua e oli naturali. In quegli anni l’azienda era in gravissima crisi finanziaria (quasi in bancarotta), ma si decise coraggiosamente di ristrutturarla puntando su qualcosa di completamente diverso dal mercato di massa allora dominante: qualità, salubrità e sostenibilità. L’idea di produrre mobili “biologici” fu assolutamente rivoluzionaria.
D) Un’ottima dimostrazione del fatto che perseguire seriamente la “sostenibilità”, abbinandola alla “qualità”, paga – anche dal punto di vista economico…
R) Esattamente, bisogna individuare la propria via e percorrerla. Competere con i cinesi sul prezzo, in una fascia bassa di mercato, sarebbe stato un suicidio. Ma le dirò di più: a mio avviso bisogna avere il coraggio di intraprendere le scelte più difficili anche per un altro motivo: più è complessa la tecnica che si sviluppa, più si diventa unici ed è difficile essere copiati. Guardi il sistema di allungamento brevettato per il tavolo Flaye, che abbiamo presentato alla fiera di Colonia… Il “green design” non è solo filosofia, funziona, ha successo, è sostenibile anche economicamente.
D) Questo è il lieto fine della storia (“a tree story”, come recita il vostro claim), ma immagino che arrivarci non sia stato immediato né senza problemi…
R) No, infatti. Quando entrai in azienda nel 1999 Team7 poteva già vantare una lunga storia di successo nel mobilio “biologico”, cresciuto negli anni ’80 e ’90, ma alla fine di quel periodo iniziò un calo delle vendite ed eravamo (come nel 1979) sul punto di perdere soldi. Si presentò dunque, di nuovo, la necessità di prendere una decisione su come procedere. Ci furono grandi discussioni, tra il management, ma anche con i rivenditori e con i clienti finali. A me fu chiaro che si dovesse seguire la via del “design”, che in Italia stava già ottenendo grande successo nel mondo – nonostante, ad essere onesti, molto “Italian design” fosse, paradossalmente, ispirato proprio al Bauhaus tedesco e austriaco! Decidemmo che bisognava insistere sui nostri valori fondanti e su quello che eravamo bravi a fare, ma di farlo aprendosi al design contemporaneo e alle tecnologie più innovative. Tenga presente che per il mondo del mobile “biologico” la tecnologia, all’epoca, rappresentava qualcosa di “cattivo”. Dovemmo quindi discutere per inserire, nei mobili, parti metalliche, in alternativa o in aggiunta a quelle in solo legno, come si era fatto sino a quel momento.
D) Fu dunque questo il punto di svolta per tornare a crescere?
R) Ci volle ancora un po’di tempo, in realtà. La nostra strategia – chiamata “design meets nature” – era chiara, ma come metterla in atto concretamente? La scelta fu di ricorrere a designer esterni, i migliori in circolazione. Ma non bastò nemmeno quello, perché non tutti sapevano come gestire un materiale vivente come il legno, che si evolve, si espande ecc. Non basta essere bravi designer, bisogna conoscere il legno, quello vero, il legno massello, non il falso legno che si trova solitamente nella maggior parte dei mobili. In ogni caso ci vollero altri tre anni prima di tornare a crescere, perché i nostri rivenditori dell’epoca non capirono né apprezzarono la scelta intrapresa, a partire da quella stilistica di avere spigoli, mentre il mobilio “biologico” al quale erano abituati i loro clienti (e ispirato alle forme della natura) era tutto “arrotondato” e smussato. Fu un brutto periodo, fatto di dubbi sul fatto che stessimo andando per la strada giusta e di errori da parte di alcuni designer, concentrati sull’aspetto estetico, ma non sulla funzionalità. Dovemmo sperimentare e imparare molto per venirne fuori. L’anno di svolta fu il 2003, ma non fu un grande salto, bensì una crescita progressiva, che continua tuttora.
D) Oggi il risultato è che il vostro arredamento non è solo più per case rustiche o di montagna, ma lo si può trovare anche in un appartamento a New York (o a Milano)…
R) Sì, oggi esportiamo anche negli Stati Uniti. In generale esportiamo l’84% della produzione, principalmente in Germania, Svizzera, Italia, Francia e Benelux.
D) Chi considerate i vostri competitors nel mondo dell’arredamento ecologico?
R) Se si tiene presente che tutti i nostri progetti partono dai boschi di nostra proprietà, che ogni progetto è, in qualche modo unico, su ordine, senza produzione seriale di massa,e che ogni pezzo è selezionato a mano, con una ricerca estrema della qualità, allora siamo unici al mondo. Si tratta di farlo comprendere al pubblico e questo è un altro problema – di comunicazione. Qualcuno, di fronte a un nostro tavolo, potrebbe dire “beh, è semplicemente un tavolo”, dobbiamo essere noi a spiegargli cosa c’è dietro, raccontando la tecnologia che lo accompagna, ma soprattutto facendola vedere e toccare con mano, così che ci sia anche una comprensione “emozionale”.
D) L’emozione di tradizione e innovazione unite insieme, che è anche una delle migliori strategie di successo, in tanti settori…
R) Esattamente. Ma in questo caso, dietro, non c’è solo design “di punta”, ma anche tecnologia “di punta”. Noi oggi dobbiamo evadere da 700 a 1000 ordini alla settimana – dalla cucina o camera completa, fino al singolo tavolino da caffè – e questo significa lavorare almeno 700 pezzi di legno a settimana, in forme e modi diversi. E’una grande sfida organizzativa, che richiede 630 persone, tra le quali un intero “plotone” di ingegneri, per essere sicuri che tutto sia perfetto e poter andare in produzione.
Andrea Gandiglio