Dalle medicine alternative e naturali una strada verso la smart health
La via per la smart health passa per le medicine tradizionali. Più economiche, meno invasive, più ecosostenibili e soprattutto più centrate sulla persona, le pratiche olistiche e non convenzionali potrebbero diventare fonti preziose di rinnovamento per il sistema sanitario occidentale, se solo non si avesse tanta paura di un cambio di mentalità. È quanto è emerso dalla seconda giornata del 4° Workshop Nazionale Image che si è chiuso il 23 maggio a Torino, dedicata a quelle che, nella nostra parte di mondo, sono conosciute come medicine “alternative”.
Con l’espressione “medicine complementari e alternative” (CAM) si fa in genere riferimento a un eterogeneo insieme di pratiche diagnostico-terapiche non ufficialmente incorporate nella moderna medicina scientifica. Pratiche come l’omeopatia, la naturopatia, l’ayurveda, l’agopuntura, la fitoterapia che, malgrado sfuggano ai sistemi di verifica sperimentale della scienza moderna perché basate su contesti esplicativi completamente diversi, vanno acquistando sempre più credito anche nei paesi occidentali. Tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), alla fine dello scorso anno, ha lanciato una strategia sulle medicine tradizionali per il decennio 2014-2023, al fine di incoraggiare i governi all’integrazione delle prassi non convenzionali nei loro sistemi sanitari.
In Italia, secondo dati Eurispes del 2012, circa il 15% della popolazione ricorre regolarmente alle medicine non convenzionali, tra le quali occupa un posto di rilievo l’omeopatia. “Negli ultimi vent’anni gli italiani che si curano con rimedi omeopatici sono aumentati del 65% – ha fatto notare Alberto Magnetti, direttore dell’Istituto Omeopatico Italiano – e sono oggi 20.000 i medici che li prescrivono. Per il comparto farmaceutico omeopatico, il nostro paese, con 320 milioni di euro di fatturato annui, è il terzo mercato europeo dopo Francia e Germania e il settore produttivo continua a crescere in media del 6-7% all’anno”. Nonostante le cifre sembrino impressionanti, il settore omeopatico corrisponde appena all’1% dell’intero mercato farmaceutico: chi si cura con l’omeopatia, così come con altre pratiche olistiche, consuma infatti meno farmaci. Una spesa sanitaria ridotta (contando anche ricoveri e tempi di degenza abbreviati) è solo uno dei fattori di sostenibilità economica ed ecologica delle medicine non convenzionali, come ha precisato Magnetti. Riduzione di costi e inquinamento da produzione di farmaci, basso impatto ecologico, assenza di effetti collaterali e nessun bisogno di sperimentare sugli animali sono alcuni dei vantaggi che si otterrebbero da un’adozione più estesa delle terapie alternative.
E poi c’è l’efficacia. Nonostante si senta spesso invocare l’indimostrabilità, dal punto di vista della scienza sperimentale, degli effetti di terapie non convenzionali, studi statistici di università europee riportano dati a dir poco incoraggianti sul loro utilizzo, anche integrato alla medicina ufficiale: “Secondo un recente studio dell’università olandese di Tilburg – ha riferito Magnetti – i pazienti di medici che utilizzano anche medicine complementari hanno un tasso di mortalità inferiore del 30% rispetto alla media. Mentre per l’Università di Berlino l’omeopatia riduce di oltre il 50% (70% nei bambini) la gravità della malattia, contro un 45% decrescente nel tempo ottenuto dai farmaci convenzionali”.
Non è magia, come ironizza qualche scettico, ma la parola magica esiste: prevenzione. Le pratiche olistiche, ossia centrate sulla persona, hanno tutte un approccio sistemico alla salute, che, del resto, la stessa OMS ha definito “non solo assenza di malattia, ma uno stato di pieno benessere fisico, mentale e sociale”. La medicina convenzionale si concentra invece sulla malattia e sul sintomo, lasciando in secondo piano il “sistema persona” e la prevenzione. È esperienza abbastanza comune andare dal medico della mutua ed essere liquidati in dieci minuti con la prescrizione di uno o più farmaci, rimedi standard per un determinato sintomo. Chi va dall’omeopata o dal medico ayurvedico sarà al contrario oggetto di una lunga e accurata visita, che prende in considerazione caratteri fisici e psicologici individuali, arrivando infine a una terapia personalizzata e a consigli per migliorare il proprio stile di vita. “Il primo passo di una diagnosi ayurvedica – ha spiegato Antonio Morandi, direttore della scuola Ayurvedic Point di Milano – è la definizione dello stato di salute costituzionale del paziente. Ogni individuo è visto come un sistema adattivo e la salute non è altro che resilienza, ossia capacità di adattarsi alle condizioni ambientali che naturalmente variano nel corso del tempo. In presenza di un disturbo o di una menomazione cronica, ad esempio, non si punta l’attenzione sulla malattia, ma sulla salute residua”. Con un approccio del genere, l’obiettivo della cura diventa dunque la qualità della vita, più che l’eliminazione a tutti i costi della patologia.
“Si avverte sempre di più da parte delle persone l’esigenza di curarsi senza un’eccessiva invasività”, ha osservato Marco Cossolo, segretario di Federfarma Piemonte, tra i fondatori della rete Apoteca Natura, che riunisce una serie di farmacie specializzate in fitoterapia e medicina naturale. Non solo. Quello che manca, in un sistema sanitario troppo spesso alienante, è una figura in cui riporre fiducia. Gli specialisti in pratiche olistiche molte volte sopperiscono a questa carenza, assumendosi il ruolo di guide nell’indirizzare i loro pazienti verso stili di vita più salutari e attenti alla prevenzione. Così come il recupero del ruolo di “consiglieri” dei farmacisti è uno degli obiettivi del network Apoteca Natura.
Se quando si parla di smart city si corre spesso il rischio di appiattire l’idea di una città del futuro sulle tecnologie, tralasciando il fattore umano, anche una visione di smart health o qualsiasi azione di rinnovamento dei nostri sistemi sanitari dovrebbe stare attenta a non cadere in questo errore. Aprirsi alle medicine tradizionali e accogliere le prassi olistiche con meno scetticismo e paternalismo e maggiore disponibilità potrebbe allora essere d’aiuto.
Giorgia Marino