CSR: il valore reputazionale come propulsore di nuovi contratti
Non è solo questione d’immagine. Le imprese socialmente responsabili hanno un ritorno economico nel medio periodo: acquisiscono valore “reputazionale”, che è referenza preziosa per l’aggiudicazione di gare e contratti. E’ quanto emerge dall’incontro organizzato il 12 aprile a Bologna dal CSR Manager Network, organizzazione che riunisce i responsabili delle politiche ambientali e sociali delle maggiori imprese italiane.
“L’Italia è il Paese con il più alto numero di imprese con Certificazione Etica SA8000, ben 799 aziende, per quasi duecentomila addetti” esordisce nella sua relazione Valeria Fedeli, della Filctem – Cgil e presidente del sindacato europeo del tessile. Gli ultimi dati del Social Accountability Accreditation Services – ente che rilascia la certificazione SA8000 – scorrono sui monitor accolti da una platea soddisfatta. “Responsabilità sociale d’impresa” significa impresa con un’etica: lo standard SA8000 misura un modo di produrre che rispetta diritti umani, diritti dei lavoratori, salute e sicurezza negli ambienti di lavoro, contrattazione e partecipazione, rifiutando condizioni di sfruttamento e lavoro minorile. Sul rapporto tra responsabilità sociale e filiera sostenibile sono tutti concordi: “La più innovativa cultura d’impresa punta a costituire il massimo della convergenza tra gli stakeholders, quindi azienda, fornitori, territori, lavoratori” conclude Fedeli.
Le fa eco Stella Ravagli, responsabile CSR di Gucci: “Per i nostri clienti, oltre al prodotto, ha sempre più importanza come questo viene fatto”. Il marchio Gucci, che quest’anno compie 90 anni di attività, si fregia già della certificazione per la responsabilità sociale SA 8000, e concentra ora i suoi sforzi anche in direzione della sostenibilità ambientale. “Esistono diverse metodologie per controllare la filiera produttiva”, spiega Ravagli. “Per Gucci è importante l’analisi e l’ascolto di tutti gli stakeholders, quindi dei fornitori ma anche dei soggetti esterni all’azienda, come associazioni sindacali, ambientaliste, ong. Il nostro rapporto molto forte con i fornitori, che sono al 95 per cento piccole imprese italiane con cui per lo più si lavora da decenni, ha reso possibile un monitoraggio più semplificato rispetto ad aziende con strutture articolate e parti di produzione all’estero”. Gucci è infatti una realtà che non ha delocalizzato, lavora con fornitori che sono piccole imprese e maestranze artigiane toscane, venete, emiliane e in parte meridionali: 700 fornitori diretti, duemila sub-fornitori e 40mila addetti come indotto. Questi i destinatari dei programmi formativi su temi tecnico-gestionali e strategia d`impresa, responsabilità sociale e gestione dei collaboratori: tutti strumenti per fare “prodotti eticamente integri”. Gucci sta ora iniziando a lavorare anche sul fronte ambientale, introducendo un packaging in carta certificata FSC – quella da foreste correttamente gestite e controllate - interamente e facilmente riciclabile.
Ma come può operare concretamente l’azienda responsabile? Pasquale Di Rubbo, responsabile Csr di Techinip, spiega l’esperienza della sua società, un “main contractor”, capofila di altre imprese in appalti per la costruzione di impianti e raffinerie, settore Oil & Gas. “Ci troviamo a gestire contratti soprattutto all’estero, assoldando masse di diecimila addetti. Sarebbero i nuovi schiavi – racconta – se non chiedessimo ai nostri appaltatori e sub-appaltatori di aderire ai principi di SA8000. Introduciamo la responsabilità sociale d’impresa in modo graduale, chiedendo loro il rispetto dei diritti umani, e poi con clausole sempre più stringenti, sul rispetto delle leggi locali o in materia di buste paga”. Per ogni lavoro, Techinip esegue una mappatura dei fornitori coinvolti e avvia un processo di coinvolgimento attraverso clausole contrattuali che richiamano i principi della SA8000. I fornitori devono accettare la possibilità di un monitoraggio e controlli sull’organizzazione. L’azienda formata alla responsabilità verso il contesto territoriale e la community dei lavoratori si rivela, negli anni, più affidabile. Sono costi ulteriori, per l’azienda, ma “c’è un ritorno in termini di vantaggio competitivo – afferma Di Rubbo – perchè l’azienda virtuosa attrae talenti, soprattutto tra le nuove generazioni. E poi c’è l’effetto win-win: se il partner migliora, c’è un ritorno a cascata per chi fa parte del team. E’ come frequentare buone compagnie” scherza il manager.
Cristina Gentile