Oltre mille gli alberi piantati finora a Bologna grazie a Gaia, che si sommano ai 90mila già presenti nel capoluogo felsineo, centro urbano che vanta un 8% di superficie di verde pubblico e circa altrettanto di verde privato (quest’ultimo non censito ma rilevato da foto aree). Avviato nel 2011, il progetto si basa sull’idea di compensare l’impatto delle attività di un soggetto, misurato in termini di carbon footprint, quindi in quantità di anidride carbonica emessa, con un quantitativo di alberature da piantare in loco, per salvaguardare l’equilibrio del medesimo territorio.
Oltre il finanziamento europeo, pari al 50% del progetto, e alla fornitura di know-how e personale da parte della pubblica amministrazione, ammonta a
60mila euro la quota finora sostenuta dalle venti aziende partecipanti. Tra queste, nomi noti del tessuto economico locale e nazionale, come
Coop Adriatica, Enel, Gd, La Perla, Aeroporto Marconi, Hera (la holding ex municipalizzata che gestisce gas, energia e rifiuti, ben oltre i confini cittadini),
Unipol, Bologna Fiere, Interporto, Granarolo. Ma altri fondi sono in arrivo, sempre dal settore privato. Una partnership pubblico-privato in cui le imprese, supportate dalle Amministrazioni, calcolano la quantità di emissioni prodotte dalle singole attività e quindi la quantità di piante da acquistare per neutralizzare la Co2 emessa. “Le imprese si sono mosse lungo due binari – spiega
Marisa Parmigiani, segretario generale di
Impronta Etica – alcune hanno compensato le attività che svolgono, come l’uso dei computer, gli incontri con i soci, il bilancio sociale. Altre le attività legate al business, come la costruzione di una nuova sede. Chi aveva minori risorse, ha scelto i toner consumati in ufficio”. La Fiera di Bologna, per esempio, ha scelto di “compensare” l’inquinamento prodotto dal Cersaie e Lineapelle; l’Unipol le emissioni della filiale di via Rizzoli, altre aziende hanno neutralizzato quelle della flotta aziendale.
Ciascun albero – 200 euro il costo medio di quelli bolognesi - é in grado di assorbire, in 30 anni, da 3-5 chili fino a tre tonnellate di Co2. Questo scostamento si spiega perchè “le specie non sono tutte uguali”, come spiega l’assessore Gabellini “rispetto al ruolo che hanno, alcune hanno più capacità di resistenza, di pulire l’aria e di vivere in certi ambienti. Ma alcune piante sono anche portatrici di allergie. E’ importante quindi la conoscenza botanica dei tanti e diversi aspetti”. Proprio su questo versante è stato fondamentale il contributo di Ibimet, che ha orientato la scelta dei diversi tipi di piante. “Le ricerche sul clima delle città, sviluppate nel nord Europa da anni e solo di recente qui da noi – racconta Raschi – spiegano molti fenomeni, come il cambiamento climatico globale e quello locale della bolla di calore“. Anche il progetto Gaia ha prodotto informazioni scientifiche valide, conoscenze nuove. E’ ricerca applicata. Come la misura della fotosintesi, un tempo sottovalutata, che ha portato ad applicativi oggi utili per la collettività”.
Olmo, sambuco, melo, ciliegio, frassino, acero campestre, tiglio, acero americano, albero dorato della pioggia: queste le specie individuate come le più efficaci in termini di sottrazione di Co2 e longevità della pianta, per cui ripagano maggiormente la spesa sostenuta.
Se le imprese scelgono cosa vogliono compensare, attraverso un programma di calcolo fornito dal Comune, quest’ultimo decide le aree per la piantumazione. Deve trattarsi infatti di zone prive di vincoli di pianificazione e nelle quali l’intervento di riforestazione non contrasti a livello paesaggistico. Quindici alberi intanto fanno ombra nel cortile della sede storica del Comune, che affaccia su Piazza Maggiore, nel cuore del centro storico ricco di portici ma povero di verde; oltre 700 alberi sono previsti per l’area industriale delle Roveri, altri per i parchi dei quartieri Savena, Saragozza, Reno e Navile. L’obiettivo iniziale di Gaia era infatti quota 3000 piante, target ora lontano – anche Gaia sconta la crisi e la scarsa capacità d’investimento delle aziende – ma che il Comune conta di centrare nei prossimi anni. Intanto il primo, più importante seme ha già dato frutto: sull’esempio di Bologna, altre città hanno manifestato interesse per questa pratica. E il Comune di Bologna proporrà quindi agli altri enti della provincia come replicare i protocolli per definire le modalità di adesione delle imprese al progetto. “I cambiamenti più importanti sono quelli culturali, anche di cultura aziendale” sottolinea Parmigiani.
Cristina Gentile