TTIP: opportunità o Cavallo di Troia?
Alla fine dello scorso aprile Stati Uniti e Unione Europea hanno terminato la nona sessione di negoziati sul Transatlantic Trade Investment Partnership (TTIP). In vista del decimo round a Bruxelles, nel mese di luglio, fautori e detrattori del TTIP continuano a confrontarsi su efficacia, utilità e trasparenza dell’accordo soppesando e contrapponendo presunti vantaggi per l’economia mondiale a potenziali ripercussioni negative sulla salute dell’umanità e del pianeta.
Se da una parte, infatti, un simile accordo dovrebbe favorire e incrementare i rapporti commerciali tra Stati Uniti ed Unione Europea generando ricchezza e benessere in entrambe i continenti, dall’altra si teme che non si possa ottenere tale risultato senza derogare alle norme che, soprattutto in Europa, oggi salvaguardano la qualità dei prodotti in commercio, l’ambiente e la salute dei cittadini.
Tale timore trova riscontro in uno studio condotto già nel 2013, dall’Ecologic Institute, a seguito del mandato conferito alla Commissione Europea, da parte degli Stati Membri, per la negoziazione del TTIP con gli Stati Uniti.
Le maggiori criticità risiedono nella disomogeneità normativa, tra Europa e Stati Uniti, in merito ad aspetti cruciali, soprattutto in materia di qualità dei prodotti alimentari e tutela dell’ambiente. Disomogeneità che rischia di essere appianata da un accordo che, favorendo il libero mercato e la libera circolazione delle merci, tenderebbe a ridurre vincoli, limiti, restrizioni normative e quindi anche tutele. Basta pensare al controverso tema degli OGM, già oggetto di dispute tra Stati Uniti e Unione Europea in seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). Da un lato la legislazione statunitense ammette la commercializzazione degli OGM senza prevedere alcuna regolamentazione specifica sulla base della presunzione che gli OGM siano “sostanzialmente equivalenti” agli organismi non geneticamente modificati. Per contro, in Europa vige il principio di precauzione in forza del quale ciascun OGM deve necessariamente superare un meticoloso processo di valutazione dei rischi prima di poter essere commercializzato. Lo stesso vale per le sostanze chimiche. All’interno del mercato europeo, qualunque sostanza chimica in commercio soggiace alla normativa REACH e deve obbligatoriamente essere preventivamente validato e registrato dall’Agenzia Europea delle Sostanze Chimiche (ECHA). Negli Stati Uniti le sostanze chimiche in commercio da prima del 1976 possono continuare a circolare senza ricevere alcuna verifica ulteriore, mentre per quelle nuove la normativa statunitense impone garanzie di salute e sicurezza solo in rarissimi casi.
Si pensi infine al tema delle emissioni provocate dal trasporto aereo. L’entrata in vigore del TTIP produrrebbe un vero e proprio boom di scambi e transazioni commerciali con un conseguente incremento della circolazione di beni e persone anche e soprattutto mediante trasporto aereo. In Europa il trasporto aereo è già stato inserito, non senza complesse negoziazioni, all’interno del sistema europeo di emissions trading (ETS) in forza del quale viene imposto alle compagnie aeree un limite annuo alle proprie emissioni incentivandole ad adottare misure per l’abbattimento delle stesse. Negli Stati Uniti è del tutto assente un simile sistema per il settore dell’aviazione.
I fautori del TTIP sostengono in realtà che dalla disparità di trattamento di simili questioni potrebbe verificarsi un adeguamento della normativa statunitense a quella, più rigorosa e stringente, vigente all’interno dell’Unione Europea e non viceversa. Il fronte del “NO TTIP” non sembra però credere ad un simile orientamento né pare rassicurato dalle recenti dichiarazioni della Commissaria al Commercio Cecilia Malmström, la quale ha categoricamente escluso qualunque tipo di armonizzazione tra i due sistemi normativi né a favore dell’uno né a favore dell’altro, proprio a causa delle eccessive e spesso incolmabili differenze.
Se così fosse non ci sarebbe quindi ragione di temere alcuna ripercussione negativa sull’integrità dell’ordinamento e dell’ambiente europeo e si potrebbe attendere con serenità il testo definitivo dell’accordo e l’approvazione finale da parte del Parlamento Europeo.
Pochi giorni fa però l’avvocato e attivista delle Nazioni Unite per i diritti umani Alfred Di Zayas ha dichiarato al The Guardian che i negoziati sul TTIP andrebbero sospesi a fronte del rischio di creare “un sistema di arbitri segreti, controllati dalle maggiori multinazionali, che possa ledere i diritti umani”. Il vero problema del TTIP, spiega Di Zayas, non risiede infatti, nelle possibili ripercussioni di un simile accordo bilaterale di natura commerciale sull’ordinamento giuridico europeo. La Corte di Giustizia Europea ha più volte riconosciuto la supremazia dell’ordinamento comunitario e delle norme di emanazione europea su accordi commerciali avallati dal WTO ritenuti contrastanti con l’acquis comunitario. Ciò che desta maggiore preoccupazione sono gli arbitrati internazionali che, nell’ambito del TTIP, dovrebbero risolvere le eventuali dispute tra stati e investitori (Investor-State Dispute Settlement, ISDS). Questi sfuggono alla giurisdizione delle corti nazionali e sovranazionali e non soggiacciono all’obbligo degli stati di decidere ogni contenzioso dinanzi ad un tribunale pubblico, trasparente e appellabile. Ciò significa che, nell’ambito del TTIP, qualora un investitore privato ravvisi una violazione dell’accordo commerciale da parte di uno stato firmatario, potrà sollevare la questione in sede di arbitrato chiedendo un risarcimento allo Stato in questione. Questo meccanismo potrebbe quindi minare l’autonomia e l’efficacia normativa dell’Unione Europea e degli Stati Membri nel loro tentativo di proteggere la salute dei propri cittadini e dell’ambiente circostante. L’ISDS è già stato inserito come strumento di risoluzione delle controversie nell’ambito di un recente accordo commerciale tra Unione Europea e Canada e dovrebbe essere ricompreso, oltre che all’interno TTIP anche nell’accordo trans-pacifico tra Stati Uniti e Giappone.
Gli arbitrati internazionali sono già costati svariati milioni di euro ai governi a titolo di risarcimento ed è lecito sospettare che, in sede di negoziazione di un accordo commerciale come il TTIP si cerchino soluzioni e compromessi che tengano gli stati il più possibile al riparo da successive rivalse da parte degli invesitori. Il colosso svedese dell’energia nucleare Vattenfall ha recentemente chiesto un ingente risarcimento danni al governo tedesco per la sua decisione di ridurre progressivamente l’impiego di energia nucleare a seguito del disastro di Fukushima, mentre l’azienda energetica francese Veolia ha citato il governo egiziano per aver incrementato il salario minimo dei lavoratori. Come sottolinea Di Zayas anticipando il contenuto di un rapporto dettagliato che sottoporrà al Parlamento Europeo entro il mese di agosto, prima cioè che questo sia chiamato a pronunciarsi in favore o contro il testo definitivo del TTIP, spesso gli arbitrati sui temi citati si sono risolti in favore delle multinazionali e degli interessi privati. Questo meccanismo mette inevitabilmente sotto scacco gli ordinamenti giuridici nazionali e le politiche comunitarie le quali rischiano di dover limitare le proprie iniziative a tutela della salute pubblica e dell’ambiente per scongiurare rivalse economiche di aziende private e poter continuare ad inseguire, con accordi commerciali sempre più ambiziosi, indici di benessere del tutto fittizi, spesso molto lontani dai fattori che realmente condizionano la qualità della vita delle persone e della natura che li circonda.
Emiliano Giovine*
*Avvocato presso R&P Legal, già consulente all’UNEP di Ginevra e Legal Officer presso il JRC della Commissione Europea.