Pesticidi: il PAN italiano li chiama “prodotti fitosanitari”
Prosegue, con l’hashtag #bioedintorni, la riflessione sull’”ecologia linguistica” avviata dalla nostra testata a partire dall’articolo “Vini e cibi liberi. Dalla semantica e dalle certificazioni“.
Un Piano “annacquato”, nella forma quanto nella sostanza. È questo, in sintesi, il giudizio che le associazioni ambientaliste e gli operatori del biologico danno sulla bozza del Piano d’Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, messa a punto congiuntamente dai Ministeri dell’Ambiente, delle Politiche Agricole e della Salute a novembre e su cui è aperta una consultazione pubblica fino al 31 dicembre 2012.
Nel 2009, con la direttiva 128, l’Unione Europea aveva chiesto agli Stati membri di definire le proprie strategie sull’uso “sostenibile” dei pesticidi, redigendo un documento che riportasse obiettivi, tempi e modalità d’intervento per la riduzione dei rischi connessi all’utilizzo dei fitofarmaci. Nonostante il documento sia, assicura Egon Giovannini, coordinatore della commissione tecnica di Federbio, “decisamente migliore rispetto delle bozze precedenti”, i punti critici sono ancora tanti. A partire dalla scelta linguistica di usare l’espressione “prodotti fitosanitari” al posto del termine “pesticidi”, più chiaro e adottato dalla stessa UE. “La diluizione rassicurante delle parole non aiuta ad affrontare la realtà”, osserva Luca Colombo, segretario generale di Firab, la Fondazione per la Ricerca in Agricoltura Biologica e Biodinamica. “Un’espressione ambigua, che potrebbe indicare tanto una tisana di malva quanto un trattamento chimico”, ironizza Giovannini.
La bozza, che, in quanto tale, non contiene nessun obiettivo di riduzione dell’uso di pesticidi, introduce misure per un uso più limitato nelle aree protette e in zone specifiche come parchi, cortili, bordi delle strade e delle ferrovie, e prevede attività di formazione per consulenti, distributori e utilizzatori di fitofarmaci. Tra i contenuti principali c’è però l’obbligo di lotta integrata – ossia con un utilizzo ridotto di prodotti chimici di sintesi – a partire dal 1° gennaio 2014. Sul tema, però, c’è una certa confusione, perché la bozza parla tanto di difesa integrata obbligatoria che volontaria. Della prima si dice che “prevede l’applicazione di tecniche di prevenzione e monitoraggio delle infestazioni, delle infezioni e delle infestanti, l’utilizzo di mezzi biologici di controllo dei parassiti, il ricorso a pratiche di coltivazione appropriate e l’uso di prodotti fitosanitari che presentino il minor rischio per la salute umana e l’ambiente”. Solo riferendosi alla lotta volontaria si richiama “il rispetto dei disciplinari regionali di produzione integrata” e si parla di “risorse” che saranno dedicate ad essa.
Aspetto che ha messo in allarme molti: “Pur considerando gli sforzi per una riduzione della chimica in agricoltura, la bozza del PAN non riconosce priorità all’adozione di metodi non chimici e soprattutto una funzione specifica all’agricoltura biologica. E’ indispensabile che la bozza integri l’agricoltura biologica ogni volta che cita l’agricoltura integrata”, riflette Daniela Sciarra, coordinatrice del settore Agricoltura di Legambiente, che il 20 dicembre organizzerà sul tema un convegno al Senato. Il rischio, spiega Colombo, “è che si crei uno spazio con un’asticella bassa e su cui vengono investite molte risorse, togliendole ad un’agricoltura veramente sostenibile”, come quella biologica, appunto. Il cui ruolo, però, nel PAN non è chiaro: “Non si esplicita la sua potenzialità di essere il metodo agricolo veramente in grado, a differenza della lotta integrata, di portare in tavola alimenti a residui zero. E si ignora totalmente il tema del multiresiduo, che invece è cruciale quando si discute di sostenibilità e sicurezza alimentare: nel nostro rapporto Pesticidi nel Piatto, abbiamo evidenziato come ci siano campioni che, pur regolari, arrivano a contenere i residui di nove pesticidi diversi, sulla cui interazione non sappiamo ancora niente”, continua Daniela Sciarra. Forse perché, osserva Ignazio Garau, direttore dell’associazione Città del Bio, “nel dibattito manca totalmente un interlocutore importante, rappresentato dai consumatori, mentre altre lobby influiscono molto sulle decisioni legislative”.
La stessa definizione di agricoltura biologica, al paragrafo A.7.4, è al centro di un piccolo giallo, un cambio di definizione che sembra fatto per “accorciare la strada” tra biologico e lotta integrata: “Nella bozza attuale si parla del disciplinare che prevede ‘il ricorso all’uso di un ridotto numero di prodotti fitosanitari di sintesi e solo in caso di un dimostrato rischio per la coltura’, mentre fino a 24 ore prima della presentazione l’espressione era più adeguata”, chiarisce Colombo. E al biologico, aggiunge Egon Giovannini, il Piano “non dà quelle garanzie previste per le aree di accesso al pubblico, che potrebbero invece evitare il rischio di contaminazione esistente anche oggi”.
Per campi sportivi, cortili di scuole e ospedali, giardini pubblici, è obbligatorio avvisare i cittadini del trattamento, impedire l’ingresso nell’area durante le operazioni ed è vietato usare fitofarmaci con tempi di rientro superiori a 48 ore. “Non si impone nemmeno alle aziende convenzionali che confinano con altre biologiche di informare l’agricoltore vicino sui trattamenti e i principi attivi usati. Ci si limita solo a stabilire, banalmente, che gli operatori biologici ‘possono chiedere alle aziende confinanti di essere informate circa gli interventi fitosanitari e i relativi principi attivi impiegati‘”. Quando, per altro, anche per la cura delle aree verdi pubbliche, esisterebbe già un disciplinare volontario, sviluppato da Federbio sul modello dell’agricoltura biologica con finalità alimentari.
Anche per quanto riguarda la ricerca, a cui la bozza dedica solo due pagine, “il rischio è che – riassume Colombo – ci si concentri sullo sulle molecole, mentre la direttiva è più ampia e prevede che tutta la gestione dei sistemi colturali sia improntata a minimizzare l’utilizzo di sostanze, di sintesi e non, sia nell’agricoltura convenzionale, sia in quella biologica”. Tutte considerazioni che non si sa in che modo verranno accolte, mentre nel frattempo le trattative sul Piano d’Azione si intrecciano a quelle sulla PAC e in particolare con il greening, quelle misure che dovrebbero “rinverdire” (ma non troppo, per carità!) l’agricoltura europea.
Veronica Ulivieri