L’India fa inciampare Copenhagen
Il Ministro dell’Ambiente Indiano Jairam Ramesh non è nuovo a sollevar polemiche. Dopo la questione dei ghiacciai dell’Himalaya (che, secondo il Ministero Indiano, non accuserebbero le conseguenze del riscaldamento globale), un nuovo attacco viene sferrato alla già iper-criticata Conferenza sul Clima di Copenhagen.
Gli obiettivi che, finalmente, sembravano aver messo d’accordo, almeno a parole, la comunità internazionale e il mondo scientifico sono stati raccolti in una bozza pronta per l’inizio del vertice, il 7 dicembre prossimo: emissioni globali ridotte del 20% (rispetto ai livelli del 1990) entro il 2020 e 80% del taglio a carico dei paesi industrializzati, al fine di evitare che l’aumento di temperatura superi la temuta soglia dei 2 gradi.
La battuta d’arresto, però, non tarda ad arrivare. Dopo che sia il presidente statunitense Barack Obama, sia il premier cinese Wen Jabao hanno annunciato, nei giorni scorsi, la loro presenza al vertice, ecco che l’India rischia di rovinare la festa: “Se la bozza danese contiene indicazioni temporali, allora arriviamo ad un fallimento. La bozza, che non si basa su stime realistiche, è totalmente inaccettabile da noi”- ha detto il ministro Ramesh alla PTI (Press Trust of India). Le economie emergenti come Cina, Sud Africa e Brasile, hanno preparato, insieme all’India, una bozza rappresentativa delle proprie posizioni, che è in corso di discussione oggi a Copenaghen. Questioni, a detta di Ramesh, non negoziabili.
Il Ministro, come l’intero governo indiano, è contrario a qualsiasi limite temporale e numerico in fatto di taglio di emissioni, ma riterrebbe in ogni caso più “realistico” guardare al 2050, anziché al 2020. La decisione indiana di non accettare il 2020 come anno di punta massima per le emissioni, nasce dalla constatazione di Ramesh che le emissioni pro capite (nuovo metro proposto) dell’India sono molto basse. “Abbiamo già detto che siamo pronti a discutere sul livello di efficienza energetico. Ma dobbiamo avere un senso di realismo, che paiono non avere i paesi sviluppati, su quello che i paesi in via di sviluppo possono o non possono fare”, ha aggiunto.
Infine, né barriere economiche sulle merci ad alto impatto climatico prodotte nei Paesi in Via di Sviluppo, nè controlli internazionali saranno accettati – se non bilanciati da aiuti economici, oggetto di un’altra pendente querelle. Mentre i Paesi in via di sviluppo chiedono 400 miliardi l’anno, la bozza prevede un fast-start di 10-12: un divario decisamente non trascurabile.
Ilaria Burgassi
Aggiornamento:
La Cina, uno dei principali inquinatori del pianeta, ha aggiunto la propria voce a quella dell’India: “I paesi sviluppati devono tener conto delle preoccupazioni e degli interessi dei paesi in via di sviluppo”, ha detto ai giornalisti il portavoce del Ministero degli esteri cinese Qin Gang. Questa presa di posizione arriva poco tempo dopo il ‘consiglio di guerra’ tenutosi a Pechino che ha riunito – venerdì e sabato scorsi – Cina, India, Brasile, Sudafrica e Sudan (presidente di turno del G-77, l’organizzazione dei paesi in via di sviluppo), per arrivare a una posizione comune da portare a Copenaghen. La Cina aveva già anticipato, la scorsa settimana, che nessun accordo sarà raggiunto a Copenaghen se i paesi sviluppati non rispetteranno i loro impegni in materia di riduzioni delle loro emissioni di gas serra. Pechino ha affermato per la prima volta, il 26 novembre, di voler ridurre entro il 2020 le sue emissioni di gas serra del 40-45% per unità di prodotto interno lordo in rapporto al 2005, sottolineando però che tra le priorità della Cina rimane comunque la crescita economica.