L’Europa verso Cancun, tra impegno e scetticismo
“Quali azioni esterne concrete intende avviare la Commissione per ripristinare la fiducia nel processo negoziale prima e durante la Conferenza sul Clima a Cancun (per entrambi i settori oggetto di negoziato, vale a dire il secondo periodo di impegni nell’ambito del Protocollo di Kyoto 2013-2020 e l’attività di cooperazione a lungo termine fino al 2050)?”.
Non è la domanda provocatoria del solito guastafeste, ma il testo letterale dell’interrogazione avanzata dalla Commissione per l’Ambiente, la Sanità pubblica e la Sicurezza Alimentare del Parlamento Europeo, in vista della sessione plenaria di Strasburgo del 6 settembre prossimo, primo incontro dopo la pausa estiva.
Della commissione fa parte l’On. Elisabetta Gardini, che confessa il suo scetticismo sulle possibilità di successo della cosiddetta COP 16, la sedicesima Conferenza delle Parti dell’UNFCCC, la United Nations Framework Convention on Climate Change, in programma in Messico dal 29 novembre al 10 dicembre. “Prima della Conferenza di Copenhagen”, ricorda la Gardini, “partecipai ad una missione del Parlamento Europeo negli Stati Uniti, in cui incontrammo i senatori americani. Già in quell’occasione ci dissero chiaramente che il presidente Obama non avrebbe mai firmato l’accordo, perché non disponeva ancora di una legge nazionale in merito. Eppure l’opinione pubblica è stata tenuta con il fiato sospeso, in attesa di sapere se Obama avrebbe firmato o no un accordo legalmente vincolante”. “La scorsa settimana”, prosegue la Gardini nella nostra intervista del 7 luglio, “ho nuovamente incontrato a Madrid una delegazione USA e ho chiesto loro se a Cancun succederà la stessa cosa di Copenhagen. I cenni di annuizione con la testa sono stati piuttosto espliciti e non lasciano grandi speranze. Gli americani sono invece disponibili a parlare di ricerca, di nuove tecnologie e di politche energetiche. Questi sono i temi sui quali potremmo lavorare concretamente”.
Del resto, secondo l’On. Gardini, relatrice ombra, per il Partito Popolare Europeo, della nuova IPPC, la Direttiva sulle Emissioni Industriali Inquinanti (ridiscussa e votata dal Parlamento Europeo nella seduta dell’8 luglio scorso), il discorso CO2 gode di una visibilità mediatica eccessiva ed enfatizzata, negata invece a emissioni ben più dannose per la salute e inquinanti, come la diossina e gli ossidi di azoto, di cui sono responsabili, per il 90%, le vecchie centrali a carbone.
L’Europa prosegue tuttavia il suo impegno di riduzione delle emissioni e di stimolo alle rinnovabili e al risparmio energetico, attraverso le azioni previste dall’ormai nota “Direttiva 20-20-20“, come ci spiega l’On. Amalia Sartori, membro della Commissione per l’Industria, la Ricerca e l’Energia: “gli spazi di riduzione delle emissioni sono enormi perchè veniamo da un periodo storico in cui il prezzo sostanzialmente a buon mercato del petrolio ha bloccato gli investimenti di ricerca sulle fonti rinnovabili, ma soprattutto che ha tollerato un grosso spreco di risorse. I margini per ottenere risparmi energetici signficativi dunque ci sono. L’Europa ha iniziato perciò un percorso che vede, ad esempio, grande attenzione verso l’efficienza energetica degli edifici, in particolare pubblici“.
Ma la novità più importante, in tema di efficienza energetica, sottolinea l’On. Sartori, sembra essere la proposta del Presidente del Parlamento Europeo Jerzy Busek di costituire una “Comunità Europea dell’Energia“, sul modello della CECA (la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio da cui nacquero poi la CEE e la UE) e delle attuali reti TEN (Trans-European Networks), che consenta di trasferire la competenza in materia di politiche energetiche dagli stati membri all’Unione Europea.
Andrea Gandiglio