La sicurezza alimentare protagonista della giornata Mondiale della Salute
Che il 2015 sia l’anno “del cibo” pare ormai assodato. L’Expo, ormai imminente, si svilupperà sul tema “Nutrire il pianeta” e anche la Giornata Mondiale della Salute 2015, celebrata ogni anno il 7 aprile, sarà dedicata alla sicurezza alimentare, un concetto diventato familiare alla cronaca alla fine degli ’90, con i casi di mucca pazza e pollo alla diossina, per ricordare solo alcune delle emergenze globali.
“La sicurezza alimentare – secondo le parole della direttrice generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Margaret Chan pronunciate in occasione della Seconda Conferenza Internazionale sulla Nutrizione, organizzata insieme alla Fao a Roma – intesa come salubrità degli alimenti è cruciale per poter assicurare a tutti la disponibilità e l’accesso agli alimenti”. La giornata avrà lo scopo di sollecitare i governi a mettere in atto misure in grado di migliorare la sicurezza degli alimenti lungo tutta la catena alimentare, dalla produzione al consumo, e di trovare risposte sostenibili ai problemi di fondo, come ad esempio la frammentazione delle autorità per la sicurezza alimentare, l’instabilità dei budget e la carenza di prove convincenti sugli effetti di malattie di origine alimentare: elementi spesso sottovalutati dalla stessa organizzazione. Sarà l’ inaugurazione di un grande impegno, visto che proprio nel 2015 l’OMS pubblicherà, per la prima volta, le stime sull’incidenza globale delle Food Borne Diseases (malattie di origine alimentare) che finalmente faranno luce sulla reale portata del problema.
Secondo quanto divulgato dall’OMS, sono più di 200 le malattie diffuse attraverso il cibo; milioni le persone che ogni anno si ammalano per aver mangiato alimenti contaminati (1,5 milioni solo i bambini che muoiono per diarrea), con un impatto decisamente più alto per le popolazioni deboli (bambini, anziani, donne in gravidanza, malati) e che vivono in condizioni di povertà. Se è vero che i sintomi più comuni delle malattie di origine alimentari sono mal di stomaco, vomito e diarrea, è anche vero che alimenti contaminati con metalli pesanti possono causare problemi sulla salute a lungo termine, come cancro e disturbi neurologici; e che se una corretta preparazione dei cibi può prevenire la maggior parte delle infezioni, è altrettanto verificato che la contaminazione può avvenire in tutte le fasi della catena, dalla produzione alla raccolta, dal trattamento allo stoccaggio, dal trasporto alla distribuzione.
Garantire la sicurezza alimentare quindi è uno sforzo multisettoriale che richiede competenze di diverse discipline -come tossicologia, microbiologia, parassitologia, alimentazione, economia sanitaria e umana e medicina veterinaria- e l’utilizzo di tecnologie avanzate. Anche per questo -raccomanda l’OMS- la sicurezza alimentare è un dovere di tutti e a tutti i livelli, una “responsabilità condivisa tra i governi, l’agricoltura, l’istruzione e il commercio, l’industria, i produttori, il mondo accademico, la società civile e i consumatori”.
Ma la sicurezza alimentare non è solo una questione di salute. L’OMS la inquadra anche a livello economico, parlando di ricadute indirette sulle economie di scala, sulle esportazioni, sul turismo e inquadrandola in un mercato globalizzato e di processi produttivi e conservativi complessi che permettono di avere a tavola cibi provenienti da tutto il mondo e in ogni stagione, a fronte di una catena molto lunga e più difficilmente verificabile e tracciabile. Pare evidente, quindi, che per limitare i reati connessi alla sofisticazione alimentare in un mondo così aperto e smart è necessaria una politica tesa ad unificare le regole e la trasparenza del commercio di settore; una politica che al momento appare frammentata, per lo meno a livello delle competenze e di controllo.
In questa direzione andava l’Unione Europea con la pubblicazione nel 2000 del Libro Bianco sulla sicurezza alimentare, nell’identificare le linee guida per una efficace politica comune/comunitaria di sicurezza alimentare e salute per i cittadini, e per favorire il coordinamento delle politiche governative, che poi ha preso forma, nel 2002 con l’istituzione dell’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA). L’Autorità, con sede operativa a Parma, si pone come organismo indipendente e sovranazionale di consulenza e di comunicazione sui rischi associati alla catena alimentare; produce pareri scientifici e consulenze specialistiche per fornire un solido fondamento al processo legislativo e di definizione delle politiche alimentari e della salute in Europa.
Secondo quanto riportato su EpiCentro, il portale dell’epidemiologia per la sanità pubblica a cura del centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, “esistono oggi al mondo più di 250 tossinfezioni alimentari, che si manifestano con differenti sintomi e sono causate da diversi agenti patogeni, perlopiù batteri, virus e parassiti. Con il passare degli anni, vengono identificati continuamente nuovi patogeni, alcuni dei quali si diffondono anche per effetto dell’incremento di scambi commerciali, di ricorso alla ristorazione collettiva, di grandi allevamenti intensivi e di viaggi”. Oltre alle categorie di alimenti naturalmente tossici (come i funghi velenosi o alcuni frutti di mare), le tossine possono avere origine biologica oppure da sostanze chimiche ad azione velenosa, come ad esempio i pesticidi utilizzati in agricoltura, e alcuni batteri nocivi stanno persino diventando resistenti ai trattamenti farmacologici, ulteriore elemento di preoccupazione e rischio.
È dello scorso anno la ricerca di Coldiretti dal titolo “La crisi nel piatto degli italiani nel 2014”, elaborata sulla base del Rapporto 2014 sui Residui fitosanitari in Europa dell’Agenzia europea per la sicurezza alimentare, che ha classificato i dieci alimenti più contaminati per presenza di residui chimici indesiderati oltre la soglia consentita dalla legge. Un elenco dagli odori e colori di mezzo mondo, che parte dal Vietnam e arriva in Israele, passando per Cina e Ghana. Al primo posto con una irregolarità del 61,5% è proprio il peperoncino proveniente dal Vietnam, uno schiaffo morale ai nostri connazionali della punta dello stivale, di cui l’Italia avrebbe importato, solo nel 2013, 273.800 chili per la preparazione di sughi tipici. Segue la melagrana dalla Turchia (40,5%); il frutto della passione dalla Colombia (25,0%); le lenticchie turche (24,3%); le arance dall’Uruguay (19,0%); l’ananas dal Ghana (15,6%); il the cinese (15,1%); il riso dall’India (12,9%); i fagioli dal Kenya (10,8%) e i cachi da Israele con un’irregolarità del 10,7%).
Con la crisi, per ridurre i costi, le aziende utilizzano materie prime di scarsa qualità e le importazioni in Italia hanno raggiunto la cifra record di 39 miliardi nel 2013, con un aumento del 20% rispetto al 2007; mentre sono triplicate le frodi a tavola con un incremento record del 248% del valore di cibi e bevande sequestrati perché adulterati, contraffatti o falsificati. Secondo la Coldiretti, consumano cibi insicuri soprattutto coloro che dispongono di una ridotta capacità di spesa e sono costretti, per risparmiare, a rivolgersi ad alimenti a basso costo dietro i quali spesso si nascondono ricette modificate, l’uso di ingredienti di diversa qualità o metodi di produzione alternativi. “In questo contesto -ha commentato Coldiretti- è importante la decisione annunciata dal Ministro della Salute, On. Beatrice Lorenzin, di accogliere la nostra richiesta di togliere il segreto e di rendere finalmente pubblici i flussi commerciali delle materie prime provenienti dall’estero per far conoscere anche ai consumatori i nomi delle aziende che usano ingredienti stranieri per poi magari parlare di Made in Italy nelle pubblicità”.
“Sarebbe disastroso – ha concluso Chan a Roma- se il consumo di cibo, elemento vitale, dovesse diventare pericoloso. C’è ancora molto da fare per evitarlo, e possiamo cominciare allineando le politiche in agricoltura, il commercio, la sanità, l’istruzione, la protezione sociale e per fornire una dieta sano e sicura per tutti”.
Alfonsa Sabatino