Depositi rifiuti radioattivi: l’ISPRA pubblica i criteri, ma ancora dubbi sulle scorie ad alta attività
Una soluzione adeguata per la gestione in sicurezza dei rifiuti radioattivi italiani – volta a garantire nel tempo il confinamento e l’isolamento dei radionuclidi dalla biosfera – è attesa da lungo tempo. Con favore sono dunque da accogliersi i criteri per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale, e relativa relazione illustrativa, che l’ISPRA, nell’ambito delle funzioni e compiti di autorità di regolamentazione competente per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, ha reso noti ai primi di giugno. Anche perché i criteri arrivano a valle dei numerosi lavori svolti negli ultimi vent’anni; è, infatti, del luglio 1995 la prima Conferenza Nazionale sul tema dei rifiuti radioattivi, organizzata proprio dall’ISPRA, quando ancora si chiamava ANPA.
Da allora Governo e Parlamento hanno intrapreso molteplici iniziative volte ad affrontare il problema della gestione dei rifiuti radioattivi. Il Gruppo di lavoro “Destinazione Rifiuti Radioattivi”, istituito presso la commissione Grandi Rischi del dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio, è composto da esperti dei principali enti nazionali e presieduto Felice Ippolito e, dopo la sua scomparsa, da Carlo Bernardini. La Task Force ENEA “Sito Nazionale di Deposito dei Materiali Radioattivi”. La Commissione Bicamerale di Inchiesta sul Ciclo dei Rifiuti negli anni 1995-1999, che ha costituito la base del documento del Ministero dello Sviluppo Economico “Indirizzi strategici per la gestione degli esiti del nucleare” del 1999, a cui è seguito il Gruppo di Lavoro, istituito nell’ambito dell’accordo tra Governo, Regioni e Province Autonome per la gestione in sicurezza dei rifiuti radioattivi del 2001, e il Gruppo di Lavoro istituito nel 2008 con decreto del Ministero dello Sviluppo Economico. Ed è opportuno ricordare che proprio il Ministero dello Sviluppo Economico ha rivolto a ISPRA, con nota del 23 luglio 2012, una richiesta per l’emanazione dei criteri entro il 31 dicembre 2012, in considerazione del carattere di necessità attribuito al Deposito nazionale. Le cui procedure per la localizzazione, costruzione ed esercizio sono previste dal D.Lgs. 31 del 15 febbraio 2010, che gli dedica specificatamente un intero titolo e (ben) sei articoli. E che sui criteri vi è stata una fase di consultazione nazionale con l’ENEA, l’Istituto Geografico Militare, l’Istituto Superiore di Sanità, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e il CNR che è seguita ad una fase di confronto internazionale con le autorità di sicurezza nucleare di Paesi europei che già eserciscono analoghe strutture – Francia (Deposito superficiale) e Svizzera (Deposito temporaneo di rifiuti ad alta attività) – o si stanno avviando a realizzarle (Slovenia e Belgio) e ad una revisione internazionale da parte dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) terminata nell’ottobre del 2013.Un gran lavoro, dunque, ancorché condensato in sole dodici pagine, su cui non dovrebbe avere particolare senso nutrire dubbi.
Tuttavia, a modesto avviso di chi scrive, nella Guida Tecnica N. 29 “Criteri per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività” vi è un profilo di criticità, formale e sostanziale, che potrebbe diventare un problema rilevante. I rifiuti radioattivi, sono (in estrema sintesi) classificati in tre categorie: a bassa attività, con tempi di decadenza dell’ordine di mesi sino ad un massimo di alcuni anni, media attività, con tempi di decadenza di decine o alcune centinaia di anni, e alta attività, con tempi di decadenza tempi dell’ordine di centinaia di migliaia di anni, perlomeno. Per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività, la Direttiva 2011/70/Euratom, nonché le raccomandazioni internazionali della IAEA, ritengono idonea la collocazione in strutture di deposito di tipo superficiale. Dove gli elevati livelli di sicurezza e di radioprotezione richiesti sono garantiti da idonee dal condizionamento dei rifiuti e della struttura ingegneristica del deposito stesso, unitamente alle caratteristiche del sito. Per i rifiuti ad alta attività e per il combustibile irraggiato, invece, sono previsti depositi in formazione geologica profonda (da 100 a 1000 metri). Strutture complesse dove le barriere naturali sono gli unici parametri che si considerano negli studi di sicurezza, cosa che, determina tempi molto lunghi per la qualificazione del sito. Le loro caratteristiche tecniche continuano ad essere studiate nei maggiori Paesi nucleari attraverso laboratori sotterranei e saranno presumibilmente la Svezia e la Finlandia le prime a realizzarli, anche se non prima del 2030.
All’appello mancano dunque e proprio i rifiuti ad alta attività, che, per l’Italia, ammontano a circa 15 mila metri cubi. Dove andranno questi ultimi? Nella relazione illustrativa alla Guida Tecnica 29 si legge che se il sito sarà ritenuto idoneo anche a realizzare «un deposito di stoccaggio provvisorio di lungo termine per i rifiuti radioattivi ad alta attività e per il combustibile irraggiato residuo, dovrà essere fornita evidenza, nell’ambito delle relative procedure autorizzative, della piena compatibilità di tale tipologia di deposito con il sito prescelto. A tale scopo potranno essere assunti a riferimento i criteri fissati nelle Guide IAEA per le installazioni nucleari, per quanto applicabili, nonché criteri specifici che saranno definiti dall’ISPRA nell’ambito di una Guida Tecnica relativa allo stoccaggio temporaneo in corso di preparazione». Tuttavia, in verità, il D. Lgs. 31/2010, richiamato nel Guida 29 e (testualmente) nella relazione illustrativa, è piuttosto chiaro il Deposito nazionale è «destinato allo smaltimento a titolo definitivo dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività derivanti da attività industriali, di ricerca e medico-sanitarie e dalla pregressa gestione di impianti nucleari ed all’immagazzinamento, a titolo provvisorio di lunga durata, dei rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato». Ora, poiché prima (e più) ancora che tecnici i problemi riguardano l’indispensabile consenso che dovrà convergere sul Deposito – per cui fondamentale sarà un’adeguata, autorevole e trasparente comunicazione nei confronti del pubblico – forse, visto che il sito è unico, sarebbe stato meglio raggruppare i criteri per tutte le categorie di rifiuti in un’unica guida.
Antonio Sileo*
* Ricercatore IEFE-Bocconi @ilFrancotirator