Contro gli OGM, intervista a Stefano Masini di Coldiretti
La questione OGM continua a far discutere e infiammare gli animi, mentre da entrambe le fazioni – pro e contro – si fa leva sugli aspetti ambientali per dirimere la questione. Ad entrare in contrapposizione sono anche le associazioni di categoria dell’agricoltura, con Coldiretti vicina alle ragioni dei piccoli coltivatori (compresi quelli biologici) e Confagricoltura a difesa delle imprese agricole di maggiori dimensioni, tendenzialmente favorevoli agli OGM. Per cercare di capire meglio le differenti posizioni abbiamo realizzato due interviste “parallele”, a Deborah Piovan, imprenditrice agricola e vicepresidente di Confagricoltura Veneto e Stefano Masini, responsabile nazionale Ambiente e Territorio di Coldiretti, ricercatore di diritto agrario e docente di diritto alimentare all’ateneo romano di Tor Vergata, autore di “Sementi e Diritti” (scritto a quattro mani con Cinzia Scaffidi di Slow Food), nonché coordinatore della “Task force per un’Italia libera da OGM”.
D) Masini, è di poche settimane fa l’accordo politico dei Ministri dell’Ambiente UE che, dopo anni di dibattiti, sancisce la libertà degli Stati membri di decidere se coltivare o meno gli OGM sul proprio territorio. Che idea si è fatto di questa procedura che dovrà essere perfezionata nel corso del semestre di presidenza italiana? La nuova composizione dell’Unione Europea manterrà il recente orientamento in tema di OGM?
R) Ormai sembra chiaro che la Commissione ha trovato una soluzione di equilibrio attraverso la modifica della direttiva 2001/18/CE con l’inserimento della clausola con la quale gli Stati membri possono scegliere in materia di coltivazione OGM. È da ritenere che nel Consiglio Ambiente di ottobre, ancora sotto la presidenza italiana, si possa arrivare a questa previsione che garantisce Stato per Stato, attraverso una complessa procedura, la possibilità di escludere, anche per ragioni socioeconomiche, l’impiego di sementi OGM nelle loro produzioni.
D) La decisione dell’Unione Europea, che potremmo sintetizzare un po’ brutalmente con la formula “ognuno s’arrangi”, sembra però concedere spazio alle critiche di chi vede questa potenziale divisione tra Stati negativa per il mercato che, si dice, non può che essere, ormai, “globale”…
R) Diciamo che la situazione sotto il profilo del mercato, in termini economici, non cambia, perché in un’Europa a 28 Stati il mais transgenico MON810 è stato comunque piantato in soli cinque (Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania), per una superficie totale di appena 148mila ettari, seminati nel 2013, la quasi totalità in Spagna. Nel complesso un fazzoletto di territorio che non incide assolutamente per le produzioni sul mercato. Certo, l’ottimale sarebbe stata la somministrazione ai cittadini europei di un quesito se intendono o meno contaminare le proprie coltivazioni, ma dal punto di vista della democrazia rappresentativa non è in questa fase possibile una piena presa di posizione né del Parlamento Europeo né dei cittadini UE. Per cui l’unica posizione per l’Italia è rivendicare la propria diversità.
D) Possiamo dire che questa, per certi versi, è la linea anticipata da alcuni provvedimenti di amministrazioni locali? Si pensi ad esempio ad alcune delibere comunali per dichiarare il proprio territorio “libero da OGM” o al disegno di legge regionale del Friuli Venezia Giulia di marzo per cui è scattato da pochi giorni il silenzio-assenso?
R) Sì. Noi ci siamo posti fin da subito in questa linea, sostenendo che, non essendo in grado di motivare una scelta unitaria a livello europeo circa l’esclusione di coltivazioni OGM, almeno fossero gli Stati a poter deliberare le proprie regole, visto che la coesistenza costituisce, almeno in Europa, un programma tecnico di coltivazione che non dà garanzia di sicurezza per quanto riguarda gli effetti di contaminazione al campo. D’altra parte, essendo il commercio di OGM globale, in sede WTO l’unica posizione per quanto riguarda l’Italia era, ed è, quella di assicurare la qualità delle coltivazioni sul proprio territorio.
D) A fine giugno è stato emanato il Decreto Legge 91/2014 che punisce chi viola i divieti di coltivazione con la reclusione da 6 mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a euro 30.000, oltre che con la rimozione, a propria cura e spese, delle coltivazioni di sementi vietate e alla realizzazione delle misure di riparazione primaria. Quali scenari apre questa norma, posto che le Camere hanno tempo sessanta giorni per convertirla in legge?
R) Per quanto riguarda la previsione sanzionatoria, dovrebbe consentire di chiudere la vicenda delle semine illegali nel nostro Paese, come quelle avvenute in Friuli…
D) Parliamo di coesistenza e contaminazione. Per molti la coesistenza in Italia non è possibile, per altri sì. Qual è la sua opinione?
R) Per risponderle prenderei come esempio quello che è successo lo scorso anno proprio in Friuli, sui campi coltivati illegalmente a OGM da Fidenato. Le rilevazioni fatte in quell’occasione dal Corpo Forestale dello Stato, oggetto anche di un audizione in Commissione Agricoltura alla Camera dei Deputati, hanno messo in evidenza come ci siano state vere e proprie contaminazioni a distanza in campi coltivati in modo convenzionale. Questo vuol dire che barriere fisico-agronomiche non possono essere utili sia per la frammentazione delle nostre aziende, sia per la normale mobilità dei pollini attraverso il vento, la veicolazione di animali selvatici o l’impollinazione delle api che portano a forme di chiara contaminazione di coltivazioni sia tradizionali che biologiche. La coesistenza è un modello solo teorico che nel nostro paese sarebbe foriero di gravi perturbazioni all’identità dei nostri prodotti.
D) Cosa succederà a suo avviso a fine anno, quando scadranno i diciotto mesi dall’entrata in vigore del decreto interministeriale che vieta temporaneamente gli OGM nel nostro paese?
R) A quel punto avremo la normativa europea e lo Stato italiano potrà mettere al bando gli OGM. Non credo ci possano essere cambi di rotta. Non ho conosciuto nessun Ministro dell’Agricoltura che sia stato favorevole agli OGM, se non una piccolissima apertura di Galan. Anche perché dal punto di vista politico esiste una pressione davvero forte di produttori e consumatori contrari. Chi è pro OGM è in una posizione decisamente minoritaria.
D) In Europa invece ci sono alcuni Stati molto propensi alle coltivazioni OGM…
R) Sì, alcuni Stati sono fortemente propensi ma poi di fatto gli OGM non si coltivano. Ad esempio la Spagna, che è ampiamente favorevole ed è il maggiore produttore europeo di OGM, ha 136.962 ettari coltivati a mais MON810, mentre in Italia, che è un piccolo produttore, si coltivano 900mila ettari di mais non transgenico. La coltivazione di piante transgeniche quindi è una marginalità: stiamo parlando di cose che non interessano né il mercato né il consumatore, ma soltanto le multinazionali che investono in borsa e hanno necessità di creare condizioni finanziarie affinché i loro titoli possano trovare consensi e maggiori rendimenti.
D) L’altra grande partita, specie in sede europea, è quella dell’informazione ai consumatori, in particolare attraverso l’etichettatura dei prodotti agroalimentari in genere. Si arriverà mai a indicare per legge sulle etichette se un prodotto contiene o meno OGM?
R) Questo è uno dei nodi fondamentali. Da un lato si vuole essere liberisti dicendo che i prodotti devono circolare sul mercato senza alcun condizionamento, dall’altro però non si vuole informare il consumatore, assicurandogli la libertà di preferire un prodotto rispetto a un altro. È ciò che sta accadendo in queste settimane in sede di modifiche del Regolamento Europeo sull’agricoltura biologica. Consideri che – e forse molti consumatori non ne sono al corrente – un prodotto biologico con il logo europeo (la fogliolina stellata, NdR) può risultare contaminato da OGM fino allo 0,9%. Anche questo è un’anomalia, perché se un prodotto è biologico dovrebbe essere nella sua integralità corrispondente a un metodo che esclude anche contaminazioni accidentali. Motivo per cui noi diciamo che il biologico dà una sicurezza di acquisto soltanto se italiano, visto che in Italia non si coltivano OGM.
Alessandra Sgarbossa
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